BELGRADO - Il sogno del presidente serbo Aleksandar Vucic di trasformare le rovine dell’ex Stato Maggiore jugoslavo in un hotel di lusso a marchio Trump è ufficialmente tramontato. Vucic ha confermato oggi l’abbandono del progetto dopo il ritiro della società di Jared Kushner, la Affinity Partner, che gestiva l’affare insieme alla Trump Organization. 

Il sito, bombardato dalla Nato nel 1999 e rimasto da allora un cumulo di macerie nel cuore di Belgrado, sarebbe dovuto diventare il simbolo di una nuova era di investimenti statunitensi in Serbia. Tuttavia, il progetto da mezzo miliardo di dollari è naufragato sotto il peso di un’inchiesta per corruzione e delle proteste popolari. 

La decisione del genero di Donald Trump è arrivata poche ore dopo una svolta giudiziaria clamorosa: la Procura anticorruzione serba ha incriminato quattro alti funzionari governativi, tra cui il ministro della Cultura Nikola Selakovic. 

Le accuse riguardano la presunta falsificazione di documenti necessari per eliminare lo “status di patrimonio culturale” dell’edificio, un passaggio indispensabile per procedere alla demolizione e alla ricostruzione. A pesare sull’indagine è stata la confessione di Goran Vasic, direttore dell’Istituto per la protezione dei monumenti, che ha ammesso di aver alterato gli atti per assecondare il progetto. 

Un portavoce della Affinity Partner ha dichiarato al Wall Street Journal che la società ha deciso di desistere perché “i progetti significativi dovrebbero unire piuttosto che dividere” e per “rispetto verso il popolo serbo”. 

Il presidente Vucic, che vedeva nell’hotel di lusso un’opportunità strategica per attirare capitali e consolidare il rapporto con l’amministrazione Trump, ha reagito con amarezza: “Ora avremo solo un edificio distrutto e nessuno lo toccherà mai più. Sono io il colpevole: sono stato io a volere modernizzare la Serbia e ad attirare un grande investitore”. 

Vucic ha inoltre lasciato intendere di voler proteggere i funzionari coinvolti, suggerendo la possibilità di una grazia presidenziale per chiunque venga condannato per la vicenda. 

L’inchiesta ha svelato un clima di forti pressioni istituzionali. Estela Radonjic Zivkov, ex vicedirettrice dell’Istituto per i monumenti, aveva denunciato mesi fa di essere stata “vivamente consigliata” dagli agenti dell’intelligence serba a ritirare la sua opposizione al progetto. 

Nonostante le dimissioni di diversi funzionari e le proteste di piazza che durano da oltre un anno, il governo aveva persino tentato una forzatura legislativa il mese scorso, approvando una legge ad hoc per rimuovere le protezioni dell’edificio e aggirare il blocco della magistratura. 

Per molti serbi, l’edificio dell’ex Stato Maggiore non è solo un rudere, ma un memoriale a cielo aperto dei bombardamenti Nato del 1999. L’idea di demolirlo per far posto a una “Trump Tower” era stata accolta dall’opposizione come una provocazione e un simbolo dell’approccio “transazionale” della politica di Vucic verso Washington. 

Ora, con il ritiro di Kushner, l’edificio modernista rimarrà diroccato, testimonianza immobile di una guerra passata e di una battaglia giudiziaria presente che ha fatto tremare i vertici del governo di Belgrado.