ROMA - Il femminicidio entra nel Codice penale come un reato autonomo. Viene definito in modo più ampio (come un atto di discriminazione o di odio verso una persona in quanto donna o come conseguenza del suo rifiuto ad avere o continuare una relazione affettiva) ed è punito con l’ergastolo. A ratificare la svolta è stato il Senato che ha approvato il disegno di legge all’unanimità: 161 presenti, 161 sì e un applauso che scoppia in Aula. Il presidente Ignazio La Russa, subentrando al timone dell’assemblea, ha ringraziato i parlamentari. “Sono estremamente lieto – ha detto –, [perché] sui temi importanti il Senato sa esprimersi senza distinzioni d’appartenenza”. Soddisfatta anche la premier Giorgia Meloni, perché “l’Italia è tra le prime nazioni a percorrere questa strada, che siamo convinti possa contribuire a combattere una piaga intollerabile”. Ora toccherà alla Camera l’approvazione definitiva, sperando che il voto sia altrettanto corale.

Un traguardo non scontato né facile all’inizio. Il sospetto che il testo governativo confermasse il “panpenalismo della destra” (copyright del dem, Filippo Sensi) era diffuso tra le opposizioni. E nella Commissione Giustizia non sono mancate le schermaglie. Poi è prevalso il gioco di squadra maggioranza-opposizione (difficile, per tutti, non provarci, vista la sensibilità sul tema e l’alto numero di vittime) strappando alla fine alcune modifiche al testo. La più importante riguarda il perimetro del reato: per le opposizioni, la definizione era troppo vaga. Il testo inizialmente parlava di “atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna, per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l’espressione della sua personalità”. 

Mancava l’aspetto relazionale e soprattutto il rifiuto della donna rispetto a una storia, sempre più spesso miccia per gli uomini che ammazzano le compagne o ex. Alla prima parte, quindi, si è aggiunto il passaggio sul “no” di una donna a “stabilire o mantenere una relazione affettiva”, ma anche a voler “subire una condizione di soggezione o comunque una limitazione delle sue libertà individuali”. Ciò vale anche a chi si percepisce come donna, ma non lo è anagraficamente. I correttivi, inoltre, si estendono alle aggravanti previste per i maltrattamenti in famiglia, le lesioni e lo stalking. Si è tentato, insomma, di superare l’approccio emergenziale ammettendo che la violenza di genere è un fatto strutturale.

Altra novità sono gli aiuti agli orfani di femminicidio: la legge stanzia per loro 10 milioni di euro. Ma soprattutto allarga la platea: gli aiuti varranno per tutti i minori privati della madre se uccisa in quanto donna, anche se l’omicida non aveva un legame affettivo con lei, né al momento né prima. E anche per i figli di donne sopravvissute a tentativi di femminicidio, ma rimaste gravemente compromesse tanto da non poter più prendersi cura dei figli. 

Il sì del centrosinistra però non nasconde l’esistenza di lacune e critiche alla legge. Pd, Avs e M5s denunciano l’assenza di interventi e investimenti su prevenzione, cambio culturale ed educazione affettiva.