BAGHDAD - “Siete tutti fratelli”, siamo tutti fratelli. E’ questo il messaggio che Papa Francesco ha portato nel suo storico viaggio in Iraq, dove nessun pontefice aveva mai messo piede in precedenza e che terminerà proprio oggi, con il rientro del Santo Padre a Roma.
Accolto venerdì all’Aeroporto internazionale dal Primo Ministro iracheno Mustafa Al-Kadhimi e accompagnato da imponenti misure di sicurezza, Papa Francesco ha cominciato la sua lunga visita in un Iraq martoriato da anni da guerre sanguinosissime incontrando le autorità e le comunità cristiane della città di Baghdad.

“Tacciano le armi! – ha ammonito subito nel suo primo discorso pubblico pronunciato nella capitale - Se ne limiti la diffusione, qui e ovunque! Cessino gli interessi di parte, quegli interessi esterni che si disinteressano della popolazione locale. Si dia voce ai costruttori, agli artigiani della pace! Ai piccoli, ai poveri, alla gente semplice, che vuole vivere, lavorare, pregare in pace. Basta violenze, estremismi, fazioni, intolleranze!”.  Una appello accorato per la pace che Francesco ha ripetuto nella giornata simbolicamente più significativa della sua missione, quella di sabato, quando il Santo Padre ha attraversato il Paese fino a Najaf, la terza città santa per gli islamici dopo Medina e La Mecca, per incontrare il Grande Ayatollah Sayyid al-Sistani, una delle massime autorità dell’islam sciita, la setta religiosa islamica maggioritaria nel Paese, al quale il Papa ha rivolto un ringraziamento perché “di fronte alla violenza e alle grandi difficoltà degli anni scorsi, ha levato la sua voce in difesa dei più deboli e perseguitati, affermando la sacralità della vita umana e l’importanza dell’unità del popolo iracheno”.

E come la “collaborazione e l’amicizia fra le comunità religiose”, il “rispetto reciproco e il dialogo” contribuiscano “al bene dell’Iraq e dell’intera umanità”, è stato il cuore anche dell’incontro interreligioso nella Piana di Ur (Nassiria), avvenuto sabato pomeriggio proprio nel luogo considerato la culla delle tre religioni monoteiste perché terra natale del patriarca Abramo. “L’offesa più blasfema a Dio – ha detto il Papa - è profanare il suo nome odiando il fratello. Ostilità, estremismo e violenza non nascono da un animo religioso: sono tradimenti della religione”. Come credenti, ha aggiunto, “non possiamo tacere quando il terrorismo abusa della religione”, né permettere “che la luce del Cielo sia coperta dalle nuvole dell’odio”.

Bisogna percorrer “la via della pace” ha insistito Francesco anche domenica da Mosul, l’ultima roccaforte dell’Isis nella quale la popolazione cristiana è praticamente sparita. Restano in città solo 70 famiglie, e da Erbil, dove ha celebrato la messa e incontrato la minoranza yazida, perseguitata e dimenticata da tutti. Da lì, prima di rientrare a Baghdad da dove sarebbe poi ripartito alla volta di Roma, il Papa ha voluto lanciare un ultimo appello: “Sta a noi – ha detto - ricordare al mondo che la vita umana vale per quello che è e non per quello che ha, e che le vite di nascituri, anziani, migranti, uomini e donne di ogni colore e nazionalità sono sacre sempre e contano come quelle di tutti! Sta a noi avere il coraggio di alzare gli occhi e guardare le stelle, le stelle che vide il nostro padre Abramo, le stelle della promessa”.