SAN’A’ (Yemen) - Una dichiarazione arrivata dopo i pesanti attacchi israeliani che nelle scorse ore hanno distrutto “infrastrutture degli Houthi presso l’aeroporto della capitale yemenita, come riportato dal portavoce dell’Esercito israeliano. Lo scalo colpito dai missili di Tel Aviv era utilizzato dagli Houthi per il trasferimento di armi e miliziani e sarebbe stato “regolarmente operato dal regime Houthi a fini terroristici”, come ha sottolineato l’Idf. La reazione forte che il governo di Benjamin Netanyahu aveva promesso, quando domenica scorsa il gruppo Houthi aveva lanciato una serie di razzi contro l’aeroporto israeliano di Ben Gurion, non si è fatta attendere.
L’alto funzionario dei ribelli yemeniti Muhammad al Buhaythi ha dichiarato che “il gruppo è pronto a interrompere gli attacchi contro le navi militari statunitensi se Trump fermerà i raid nello Yemen, ma le operazioni contro Israele a sostegno di Gaza continueranno fino alla fine dell’aggressione e dell’assedio di Gaza”. Israele, infatti, secondo gli Houthi, ha “varcato la linea rossa e ora deve aspettarsi una risposta”.
La conferma del cessate il fuoco tra americani e Houthi è arrivata poi per bocca del ministro degli Esteri dell’Oman, Badr al-Busaidi, che ha annunciato che “a seguito di recenti colloqui e contatti tra il Sultanato dell’Oman e gli Stati Uniti e le autorità competenti a San’a’, gli sforzi hanno portato a un accordo di cessate il fuoco tra le due parti”. “In futuro - ha aggiunto il Ministro -, nessuna delle due parti prenderà di mira l’altra, comprese le navi statunitensi, nel Mar Rosso e nello stretto di Bab al-Mandeb”. Una decisione, quella americana, che avrebbe preso alla sprovvista il governo di Tel Aviv, che non era stato informato in anticipo delle intenzioni dello storico alleato.
Intanto, il capo della Casa Bianca si sta preparando a un viaggio in Medio Oriente la prossima settimana, dal 13 al 16 maggio, quando si recherà in Arabia Saudita per la sua prima visita di Stato all’estero. Un viaggio che, da martedì, vedrà il presidente americano impegnato soprattutto a raggiungere nel chiudere un accordo di cooperazione economica con i Paesi del Golfo, motivo che lo porterà a presenziare a un summit con i leader del Consiglio di cooperazione del Golfo invitati a Riad dal principe Mohammed bin Salman (Emirati, Qatar, Bahrein, Kuwait, Oman), prima di andare in Qatar e negli Emirati Arabi Uniti. Al momento, non è prevista una tappa in Israele per incontrare Benjamin Netanyahu, anche perché i due alleati si trovano su posizioni distanti per quanto riguarda le relazioni con l’Iran. Se Washington punta, infatti, a raggiungere un accordo con Teheran, Tel Aviv insiste sulla necessità di colpire il Paese con attacchi diretti anche ai siti nucleari.
Nessun commento dalla Casa Bianca, invece, è arrivato dopo l’annuncio del governo israeliano di allargare le operazioni nella Striscia attraverso un’operazione denominata ‘Carri di Gedeone’, un riferimento alla figura biblica nota per aver guidato un piccolo esercito israelita contro un nemico numericamente superiore, riuscendo a sconfiggerlo. “Il programma per l’espansione dell’operazione a Gaza è ampio ma comunque limitato - hanno sottolineato gli ufficiali dell’Esercito -: esclude esplicitamente le aree dove si ritiene che ci possa essere presenza di ostaggi. Non abbiamo intenzione di entrare in quelle zone”. “La nuova fase includerà soprattutto il passaggio da incursioni a una presa di controllo di porzioni di territorio - ma non dell’intera Striscia -, bonifiche dei tunnel, di cui solo un quarto è stato finora neutralizzato”, hanno aggiunto. Per avviare l’offensiva, l’Esercito israeliano aspetterà probabilmente la conclusione del viaggio del presidente americano nei Paesi del Golfo. Una finestra temporale per l’ultimatum ad Hamas per trovare un accordo sulla tregua e la liberazione degli ostaggi, chiusa la quale si scatenerebbe l’offensiva. Il piano israeliano comporterebbe l’evacuazione dell’intera popolazione del nord e del centro di Gaza verso il sud, tra il corridoio Morag e quello Filadelfia, dove dovrebbero essere realizzate strutture per accoglierli. Successivamente Israele introdurrebbe aiuti umanitari nella Striscia, attraverso un piano umanitario che distinguerebbe chiaramente tra Hamas e civili, con una distribuzione fatta da società private, probabilmente americane.