DAMASCO – Nel contesto dell’inasprimento del conflitto siriano si è riacceso nelle ultime ore il fronte orientale dove sono presenti forze filo-USA e forze filo-iraniane a sostegno dei rispettivi gruppi armati locali.
Il bilancio delle vittime dei combattimenti nel Nord della Siria sale a 602. Lo afferma l’Osservatorio siriano per i diritti umani (Ondus) che tiene il conto delle persone uccise nei combattimenti da quando i ribelli jihadisti filoturchi hanno occupato Aleppo. Secondo fonti sul terreno, le forze filo-USA guidate dal PKK curdo e da tribù arabe cooptate dagli americani tentano di conquistare sette località a est del fiume Eufrate sotto controllo delle milizie filo-iraniane e di altri clan tribali vicini invece all’Iran. Gli scontri sono ancora in corso.
Scontri vengono segnalati anche tra jihadisti sciiti filo-iraniani giunti dal vicino Iraq e loro rivali jihadisti sunniti di Hayat Tahrir al Sham (HTS), appoggiati dalla Turchia, a sud-est di Aleppo (nord-ovest), lungo la strada che collega la metropoli siriana a Khanaser, afferma l’Ondus, secondo cui le forze governative e iraniane tentano una controffensiva contro l’avanzata delle forze filo-turche.
Secondo l’Osservatorio, le forze jihadiste filo-turche sono inoltre avanzate nelle ultime ore sul fronte della Siria centrale verso la periferia Nord di Hama, consolidando il controllo su alcune località chiave come Suran e Halfaya. L’aviazione governativa ha lanciato alcuni raid aerei per impedire l’avanzata nemica, afferma l’Ondus.
Il presidente russo Vladimir Putin ha avuto un colloquio telefonico con il suo omologo turco Recet Tayyip Erdogan, al quale ha detto che occorre “fermare rapidamente l’aggressione terroristica contro lo Stato siriano da parte di gruppi radicali”.
Lo riferisce il Cremlino. Putin ha aggiunto che occorre “fornire pieno sostegno agli sforzi delle autorità legittime per ripristinare la stabilità e l’ordine costituzionale in tutto il Paese, in particolare utilizzando le opportunità esistenti di Ankara nella regione”.
“[I due leader] – aggiunge il Cremlino – si sono espressi a favore del rafforzamento dell’interazione sia in formato bilaterale sia nel quadro del processo di Astana, [impegnandosi a] un ulteriore stretto coordinamento tra Russia, Turchia e Iran per normalizzare la situazione in Siria”.
Sebbene Damasco sia ancora a circa 200 chilometri di distanza dal fronte, ai nemici del presidente siriano Bashir Assad basterà avanzare di circa 70 chilometri verso sud, e il regime della Capitale potrebbe cadere. Ciò è dovuto all’importanza delle due città di Hama e Homs.
Se gli islamisti sostenuti dalla Turchia - come l’HTS e l’SNA - conquistano queste due città, taglieranno fuori dall’influenza di Assad due altre aree: Tartus e Latakia. In questi governatorati si trovano le basi russe in Siria, i cui soldati aiutano il dittatore di Damasco.
In più, Latakia è la patria degli alawiti, una minoranza sciita di cui fa parte anche il clan di Assad, e che fornisce molti membri dell’Esercito siriano. Se le loro famiglie fossero minacciate dai combattenti sunniti - come l’HTS e l’SNA - molti alawiti delle forze armate siriane probabilmente diserterebbero per tornare a casa e proteggere i loro parenti.
In altre parole, se Homs viene conquistata, il regime di Bashar al-Assad rischia di crollare. E ne sono consapevoli anche le forze che vogliono mantenere il 59enne al potere.
Intanto, secondo l’Onu, sono quasi 50.000 le persone sfollate in Siria negli ultimi giorni. “La situazione degli sfollati rimane estremamente fluida, con i partner che verificano quotidianamente nuovi dati”, ha affermato in una nota l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli affari umanitari (OCHA). “Al 30 novembre erano oltre 48.500 le persone sfollate”.