REGGIO EMILIA - Dopo un’inchiesta che ha spaccato la politica e tre anni di udienze e battaglie infuocate in aula tra Procura e difensori, il processo “Angeli e Demoni” — il cosiddetto caso Bibbiano sui presunti affidi illeciti — si riduce a tre condanne, con pena sospesa.
A fronte di richieste della Procura fino a 15 anni e per tutti e 14 gli imputati, i giudici del tribunale di Reggio Emilia hanno deciso di condannare solo l’ex responsabile dei Servizi sociali dell’Unione Val d’Enza, Federica Anghinolfi, a due anni, e l’assistente sociale Francesco Monopoli, a un anno e otto mesi, per ipotesi di falso in atto pubblico, mentre la neuropsichiatra Floriana Murru a cinque mesi per una rivelazione di segreto.
Cadono tutte le altre accuse, alcune per prescrizione e la maggior parte con assoluzioni piene.
Erano oltre cento i capi di imputazione per reati come frode processuale, depistaggio, maltrattamento su minori, lesioni gravissime, falso in atto pubblico, violenza privata, tentata estorsione e peculato d’uso.
In sostanza, l’accusa sosteneva che in Val d’Enza ci fosse un business sugli affidi dei minorenni, con relazioni che ingannavano i magistrati minorili per ottenere l’allontanamento dalle famiglie d’origine e favorirne l’affido a soggetti esterni, ma il tribunale collegiale non lo ha riconosciuto.
Già Claudio Foti, “il guru”, psicoterapeuta della onlus Hansel & Gretel al centro della vicenda, era stato assolto in via definitiva dalla Cassazione dopo una condanna a quattro anni in primo grado. E oggi anche l’ex moglie, Nadia Bolognini, per cui erano stati chiesti otto anni dalla pm Valentina Salvi, conclude il processo di primo grado senza alcun addebito.
Già un altro simbolo di questa storia, l’ex sindaco di Bibbiano Andrea Carletti del Pd, finito inizialmente agli arresti domiciliari quando scattarono le misure cautelari dei carabinieri, era uscito dal processo in seguito all’abrogazione del reato di abuso d’ufficio deciso dal governo di centrodestra. Di recente, il suo partito gli ha riconsegnato la tessera.
La figura principale rimasta a giudizio era quella di Federica Anghinolfi, che rispondeva di una sessantina di imputazioni e che si è vista condannare solo per due.
“Oggi sappiamo che non esistono demoni contrapposti agli angeli, che la nostra assistita non è una ‘ladra di bambini’ e che non ha mai agito per interessi diversi da quello superiore della tutela dei minori”, hanno commentato a caldo i suoi difensori, gli avvocati Oliviero Mazza e Rossella Ognibene, aggiungendo che la sentenza, comunque, “non cancella la distruzione mediatica dell’immagine della nostra assistita, né i danni irreparabili e incalcolabili provocati al sistema della tutela dei minori”.
Alla fine del 2019, l’indagine diventò uno dei temi principali di contesa nella campagna elettorale per le elezioni regionali in Emilia-Romagna, con leader politici che si alternarono a fare comizi nel piccolo centro della Bassa e indossarono magliette a tema in Parlamento, con polemiche, strumentalizzazioni e scambio di querele tra le parti in causa.
Dal sindaco di Reggio Emilia, Marco Massari, arriva oggi una posizione di “vicinanza alle persone che oggi vedono finire, o quasi, un incubo processuale durato anni. Persone per cui, come purtroppo sempre più spesso accade, si sono formulati giudizi affrettati senza attendere la verità giudiziaria”.