ROMA - Chi come il segretario del Pd Enrico Letta spinge per un ritorno alla “concertazione” degli anni Novanta, quella che portò alla moderazione salariale, ha oggi un elemento in più per capire se le scelte di quegli anni siano riproponibili oggi. Nel suo ultimo rapporto, è infatti l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) a dare un quadro chiaro e inequivocabile della parabola che gli stipendi hanno avuto in Italia e nel resto d’Europa negli ultimi trent’anni e da ciò che se ne trae risulta che quelle delle retribuzioni è stata negli ultimi tre decenni la vera emergenza italiana.

Mentre infatti dal 1990 al 2020 i salari in tutte le nazioni dell’Ue hanno registrato, come dovrebbe, una crescita esponenziale, ovviamente molto più sostenuta nei Paesi dell’ex Unione Sovietica, ma significativa anche in realtà come Francia e Germania, il dato dell’Italia ha lasciato pietrificati i commentatori economici. La Penisola infatti è l’unico Paese dove gli stipendi sono stati non solo stagnanti, ma sono addirittura diminuiti e, rispetto al 1990, quelli del 2020 hanno registrato persino una diminuzione del 2,9%.

Un dato in totale controtendenza con tutte le altre nazioni prese in esame dall’Ocse, dove in media le retribuzioni sono aumentate di oltre il 33%. In particolare il Paese europeo dove la variazione percentuale dei salari medi è aumentata di più tra il 1990 e il 2020 è la Lituania con un +276,3%, seguita dall’Estonia con un +237,2% e dalla Lettonia +200,5%. Tra le nazioni più grandi la prima è la Germania con un +33,7%, la Francia con un +31,1%. Anche in Grecia i salari medi sono saliti in trent’anni del 30,5%, mentre in fondo alla classifica sono Portogallo (+13,7%) e Spagna (+6,2%).

Peggiore di tutti è però proprio l’Italia, dove, invece che aumentare, i salari sono invece scesi del 2,9%. In pratica gli italiani percepivano di media uno stipendio superiore nel 1990 che nel 2020.

Un trend negativo che non è imputabile solo alla pandemia, ma che dura da decenni e secondo alcuni analisti è dovuto alla produttività generale, che in Italia a partire dalla seconda metà degli anni Novanta è andata via via declinando.

Accanto a ciò c’è il  problema della competitività internazionale che in un contesto globalizzato ha visto le aziende italiane di piccole dimensioni soccombere contro i grandi competitor mondiali.