Dopo il successo dell’esordio a Milano, Cesare Cremonini si sfoga sulle sensazioni derivanti da questo nuovo debutto, come lui stesso lo ha definito. La tappa di San Siro è stata particolarmente carica d’emozione, il cantautore bolognese si è goduto l’imponente struttura creata ad hoc per il suo show, ma ha anche ritrovato il suo pubblico nel salotto più grande e importante della musica dal vivo italiana. Soprattutto Cremonini ha mostrato chiaramente quanto lungo è questo passo della sua carriera, la consapevolezza di aver raggiunto uno status come artista che gli permette una libertà pressocché totale.
Presentando il tour hai detto che per te ogni passo è sempre una prima volta, un nuovo esordio…
“Sì, per me è sempre stata così, una rottura di scatole che non vi dico; è pesante proprio. Però purtroppo non mi è stato regalato neanche un briciolo e questa cosa qua è il destino di quelli che iniziano molto molto presto e soprattutto è il destino di quelli che iniziano molto molto presto con un grandissimo successo, è un destino segnato per tutti gli artisti che hanno avuto questa esperienza. Ti mette alla prova questo lavoro, in maniera molto particolare se tu vivi quest’esperienza di vendere un milione e 600.000 copie a 18 anni. Io ero già un cantautore con ‘50 Special’ in fin dei conti, perché raccontavo sinceramente la realtà che vivevo; poi era sporcata dalle influenze musicali del periodo, perché a 18 anni emuli, se non emuli a 18 anni sei Dio, mentre io ero un ragazzo molto normale che costruiva una carriera da cantautore senza sapere bene se lo ero o no. Oggi posso dire che era l’inizio di un cantautore che scriveva le sue canzoni, quando inizi così è veramente, veramente, un percorso che ti mette alla prova di più, però fai vedere anche quanto fegato hai, è un’occasione per dimostrare quello che vali fino in fondo, ti fai i muscoli”.
“50 Special” è una canzone perfetta, uscisse oggi sarebbe una hit esattamente come lo è stata 23 anni fa. Che rapporto hai con questo pezzo?
“‘50 Special’ è ancora oggi uno degli apripista più importanti dei locali giovanili, è stato una specie di miracolo pop scritto da un ragazzo che non sapeva che sarebbe diventata una canzone per il pubblico. Io credo che il suo segreto, così come il segreto di quasi tutte le canzoni di successo che ho scritto, sia una profondissima sincerità”.
Quella che proponi al pubblico è una sfida, è un concerto semplice da seguire perché in scaletta ci sono canzoni già molto amate dal pubblico, ma nella messa in scena dei pezzi, proponi un percorso tortuoso…
“Sì, io sfido il pubblico, come faccio ormai la maggior parte delle volte essendo un percorso artistico; in qualche modo sfido il pubblico a seguirmi, e lì c’è anche l’eccitazione dell’errore, potrei sbagliarmi e fallire, anche l’adrenalina di vivere questa esperienza dubbiosa. E invece mi hanno seguito, e adesso non si torna più indietro”.
Cosa viene dopo?
“Io credo che per i prossimi dieci anni, finché il corpo mi permetterà di offrire al pubblico degli spettacoli in cui anche fisicamente io possa essere molto prestante, molto fisico, la mia ambizione è riuscire a determinarmi come performer. Perché la completezza che il mio percorso, anche articolato e difficile, mi ha dato secondo me oggi diventa un grande valore da offrire al pubblico, una grande unicità. Passare da Lucio Dalla a ‘Lost In The Weekend’ a ‘50 Special’ e ‘Al telefono’ e ‘Poetica’ e poi ‘Nessuno vuole essere Robin’, sono sei registri completamente diversi l’uno dall’altro, la mia è quasi una capacità attoriale, perché vivo talmente in simbiosi con le canzoni che faccio che in qualche modo mi riportano dentro ai loro universi e questa capacità di riuscire ad attraversare registri diversi secondo me va portata al pubblico, fatta conoscere, con il solo scopo di volerli fare stare bene. Il mio successo deriva da quanto riesco, attraverso quello che so fare, a far stare bene la gente in fin dei conti, il mio obiettivo rimane quello di riuscire a donarmi”.
Il settore della musica negli ultimi due anni è stato certamente messo a dura prova, probabilmente è stato il settore più colpito dalle restrizioni dovute alla pandemia, ma ha anche permesso ai lavoratori dello spettacolo di capire qual è il rapporto che li lega alle istituzioni, tu in questo senso c’hai pensato?
“Non ho mai avuto una percezione migliore di quella avuta durante questi due anni, nemmeno prima della pandemia, nonostante questo io credo che riempire di contenuto anche un universo così effimero come il mainstream italiano, come il pop italiano, in fin dei conti credo sia doveroso e una necessità imprescindibile. Non c’è dubbio che ci sia una cultura sul mondo della musica in Italia decisamente scollegata dalla realtà, nel senso che le persone sanno molto poco, la politica sa molto poco di come funzione il nostro sistema. Io credo fortemente che l’impegno di chi fa musica è quello di non scomparire e per non scomparire oggi, in un momento in cui tutto scompare, in cui perfino il dolore per le cose scompare, questo mondo ti da la sensazione che non ci sia nulla che possa realmente durare, l’unica strada è inserire un contenuto onesto, pulito, vero, a quello che fai”.