CANBERRA - Per affrontare il problema dell’inflazione in Australia esistono, in sostanza, due strade.

La prima è contenere la spesa pubblica, lasciando spazio alla recente ripresa del settore privato senza alimentare ulteriormente la crescita dei prezzi. La seconda è un intervento della Reserve Bank attraverso un rialzo dei tassi d’interesse, con un aumento dei costi per i mutuatari e un impatto negativo sugli investimenti. Secondo Paul Bloxham, capo economista di HSBC, il governo ha scelto di non percorrere la prima opzione.

In una nota di ricerca, Bloxham ha osservato che la spesa pubblica continua a restare elevata e che le previsioni di un suo rallentamento appaiono ambiziose. “Ci aspettiamo che la RBA debba aumentare il tasso di riferimento nel 2026”, ha scritto, spiegando che una politica fiscale più restrittiva avrebbe potuto evitare una stretta monetaria. In altre parole, una frenata della spesa statale avrebbe consentito una maggiore espansione del settore privato senza pressioni inflazionistiche aggiuntive.

L’aggiornamento di metà anno del bilancio presentato dal ministro del Tesoro Jim Chalmers mostra che la spesa pubblica è destinata a crescere del 4,5 per cento nell’anno finanziario in corso, un ritmo superiore a quanto previsto nel bilancio di marzo. Chalmers ha difeso i dati sostenendo che l’aggiornamento indica deficit più contenuti e un livello di debito inferiore rispetto alle stime precedenti per ciascuno dei prossimi quattro anni, definendolo “il mid-year update più responsabile mai presentato”.

Tuttavia, le proiezioni si basano sull’ipotesi che il governo eserciti una disciplina molto severa in futuro. La crescita della spesa è infatti prevista quasi ferma allo 0,3 per cento nel prossimo anno finanziario, un ridimensionamento netto che, secondo Bloxham, rappresenterebbe l’aumento più debole dei pagamenti pubblici da oltre un decennio.

Anche Shane Oliver, capo economista di AMP, ha espresso preoccupazione. A suo avviso, la spesa pubblica in rapporto al PIL resta ben al di sopra dei livelli pre-pandemia, contribuendo a una produttività più bassa, riducendo lo spazio per il settore privato e alimentando un’economia già surriscaldata. Se la RBA dovesse alzare i tassi d’interesse il prossimo anno, ha avvertito, la pressione ricadrebbe soprattutto sulle famiglie, chiamate a limitare ulteriormente i consumi.

Un ulteriore elemento riguarda le voci di spesa collocate “fuori bilancio”. La distanza tra i deficit cumulativi ufficiali e quelli sottostanti, su cui il governo concentra l’attenzione perché più contenuti, è salita da 85 miliardi di dollari a marzo a 93,8 miliardi. Secondo Oliver, alcune di queste spese potrebbero rivelarsi investimenti poco efficaci e dover essere svalutate, pur continuando ad accrescere il debito federale.

Con una traiettoria di deficit destinata a protrarsi per un altro decennio, tra spesa per l’economia della cura, calo delle accise sul tabacco e sforamenti dei costi, il quadro resta complesso. In assenza di una stretta fiscale credibile, il rischio è che la leva dei tassi diventi l’unico strumento rimasto per contenere l’inflazione.