Attacchi sì, ma senza esagerare, giusto per fare un po’ di rumore in mancanza di qualcosa di più concreto. Non conviene a nessuno affondare i colpi perché alla fine: “Così fan tutti”. Un pochino di più, un pochino di meno, ma le regole, per la massima comodità e garanzia di ‘incolumità’ politica, sui diritti per ciò che riguarda le spese di viaggio legate all’incarico parlamentare (previste in alcuni casi anche per famigliari), le hanno scritte anonimi ‘altri’. La solita commissione esterna indipendente, perché quando conviene l’accordo bipartisan si trova sempre e non c’è niente di meglio, su temi caldi come quelle degli aumenti salariali e di privilegi vari che riguardano responsabilità ministeriali, che affidare a terzi decisioni che i politici, prudentemente, preferiscono non prendere.

La tempesta scatenata dalla costosa missione a New York (con due stretti collaboratori) di  Anika Wells - che ha dato il via ad una specie di indagine pubblica sugli impegni di lavoro (partecipazione ad eventi vari) del ministro delle Comunicazioni e dello Sport -,  passerà, assieme a quella che, per qualche ragione (nonostante il conto spese superiore) in scala minore, ha coinvolto anche il responsabile del Turismo, Don Farrell e che, giorno dopo giorno, si sta allargando (nel mirino anche due senatrici dei verdi: moralmente si poteva e si doveva fare meglio, perché con diritti e privilegi sarebbe opportuno sempre mostrare maggiore attenzione, specie in tempi piuttosto complicati per far quadrare i bilanci famigliari quando ogni spreco e presunto ‘abuso’ assume ancora maggiore visibilità ed importanza. Il primo ministro, Anthony Albanese, ovviamente non ci sta e difende a testa alta ‘l’integrità’ dei suoi ministri (poi magari qualche bacchettata arriverà) aiutato, almeno nel momento clou degli attacchi in ordine sparso dell’opposizione, dall’ennesimo colpo di scena che ha visto protagonista l’ex leader dei nazionali Barnaby Joyce che, dopo una brevissima sosta sui banchi degli indipendenti, ha abbracciato la causa di One Nation: il rappresentante del seggio di New England (New South Wales) non riesce a stare nell’ombra. Non gli manca certo visibilità e notorietà anche a livello nazionale, ma in quanto a peso politico, con questo ultimo passo, è sceso a livello di ‘disturbo’ e poco più. I sondaggi possono anche sorridere, in questo momento, alla squadra di Pauline Hanson, ma il seguito è circoscritto ad alcune ben precise aree del paese e, quindi, si tratta di un populismo marginalizzato che sta conoscendo un attimo di attenzione in più a causa dell’incredibile instabilità all’interno della Coalizione. 

 Tra distrazioni varie, almeno ieri è iniziato qualcosa di importante con l’entrata in vigore delle nuove limitazioni di accesso ai social ai minori di sedici anni (tutto da vedere, ovviamente, la bontà dell’esperimento, seguito ormai da tutto il mondo). Da poco più di 24 ore, comunque, gli adolescenti australiani (circa un milione, secondo i dati ufficiali, tra i dieci e i 15 anni) non possono più accedere a piattaforme come Facebook, Instagram, Threads, YouTube, X, Snapchat, Reddit, Kick, Twitch e TikTok, anche se indubbiamente molti di loro sono sicuramente già al lavoro per aggirare il divieto. 

L’Australia diventa così un vero e proprio laboratorio sperimentale con la consapevolezza, da parte del governo, che non tutto funzionerà senza inevitabili proteste (in alcuni casi anche da parte dei genitori) e difficoltà di far rispettare le nuove direttive. Ci sarà per questo un monitoraggio continuo, con una costante revisione dell’elenco delle piattaforme vietate o da vietare, basandosi su tre criteri principali: se la piattaforma ha come scopo esclusivo o prevalente l’interazione sociale online; se permette agli utenti di interagire tra loro; se consente la pubblicazione di contenuti. Albanese, con gli occhi del mondo puntati sull’Australia gonfia il petto e parla di provvedimento di storica portata da sostenere e incoraggiare nell’interesse di tutti. 

Wells e colleghi vari, nel mirino dell’opinione pubblica per le loro spese di viaggio allargate a mogli, mariti, figli ecc,  passeranno in seconda linea la prossima settimana quando il ministro del Tesoro, Jim Chalmers, presenterà la revisione di bilancio di metà anno che aggiusterà un po’ il tiro in campo fiscale, indicando le linee-guida per il primo documento di gestione del secondo mandato del governo laburista. Seguirà qualche giorno di dibattito vero su questioni molto più importanti, per il Paese, dei presunti ‘eccessi’ di privilegi parlamentari e dell’idillio politico Hanson-Joyce, prima di far calare il sipario sul palcoscenico federale fino al prossimo anno. Anche l’immigrazione, vista dal fronte liberale, dovrebbe accendere un po’ di interesse, se ci sarà un minimo di chiarezza su un programma articolato, con tutti i suoi perché, dei tagli auspicati e non semplicemente dettato da posizionamenti interni in vista della resa dei conti al vertice, già messa in preventivo per il prossimo autunno. 

In attesa del MYEFO (Mid-Year Economic and Fiscal Outlook), martedì è riuscita a ritagliarsi qualche spazio tra i viaggi di Wells e famiglia, la governatrice della Banca centrale, Michele Bullock con i suoi commenti dopo l’ultima riunione dell’anno della Reserve Bank che ha confermato lo status quo per ciò che riguarda il costo del denaro. Nessuna sorpresa fino alle spiegazioni, ormai di rito, delle decisioni del direttivo della RBA, con Bullock piuttosto chiara in fatto di previsioni che, ha assicurato, non ama fare: non vede all’orizzonte del prossimo anno un intervento monetario verso il basso, ma non esclude uno verso l’alto, perché fino a poco tempo fa l’inflazione sembrava avere imboccato la direzione giusta, grazie alla strategia fiscale adottata da Canberra e quella monetaria dell’RBA, ma ora i segnali sono cambiati e le prospettive sono diverse. 

La governatrice, con insolita franchezza, ha lasciato la porta aperta addirittura per un intervento correttivo già a febbraio. Considerazioni che Chalmers avrebbe preferito non sentire, come del resto gli economisti che cominciano ad avere qualche dubbio sulle decisioni, forse premature, al ribasso del primo semestre di quest’anno della Banca centrale, ma soprattutto su una presunta mancanza di rigore del governo sul fronte delle spese. Una ‘critica’ che riguarda non solo l’amministrazione federale, ma anche quelle statali, con un totale spese-investimenti pubblici che nel 2025-26 raggiungerà il 27 per cento del Prodotto interno lordo, il valore più alto dal 1986.

Chalmers preoccupato, ma non troppo che preferisce guardare il rovescio della medaglia: un ulteriore abbassamento dei tassi sarebbe sicuramente ben accolto dagli australiani, ma non necessariamente sarebbe un segnale positivo per l’economia. Il costo del denaro era infatti al di sotto del tre per cento in quello che l’economista Ross Garnaut ha definito il ‘decennio perduto’, che ha compreso gli anni complicati della pandemia, quando la crescita è stata mantenuta,  con grandi sforzi e aiuti vari, appena al di sopra la linea di galleggiamento, la produttività è crollata, i salari non si sono minimamente mossi e l’inflazione è rimasta comunque al di fuori dei parametri ideali della RBA. Per Chalmers, quindi, nuovi giochi di equilibrio, complicati dal fattore esigenze politiche: in attesa di una vera opposizione, comunque, per il ministro del Tesoro qualche spazio di manovra in più sapendo, però, di non poter contare su qualche aiuto, anche solo per il morale, della squadra Bullock, ora più che mai in attesa di valutare le sue prossime mosse.