Anno nuovo, problemi nuovi per il governo. E non è che ne aveva pochi prima della pausa estiva. Pausa solo parlamentare perché, come è stato più volte fatto osservare, quest’anno non c’è stata alcuna tregua sul fronte politico a causa degli incendi che hanno avuto devastanti conseguenze anche per la credibilità e l’autorità di Scott Morrison e del suo governo. Risposte inadeguate ad una prolungata emergenza che è stata ‘doppiata’ dalle nuove paure create dal coronavirus. Ancora una volta governo (e primo ministro) nel mirino per la riapertura del Centro per immigrati di Christmas Island per accogliere i cittadini australiani provenienti da Wuhan, epicentro dell’epidemia.

Ponti aerei (ultimo arrivo, ieri pomeriggio, di un volo Qantas a Darwin, con a bordo altri 266 australiani che dovranno rimanere due settimane in quarantena in una struttura abitativa, in disuso, a Howard Springs – a circa 30 km dalla capitale del Northern Territory - prima di poter ritornare nelle loro case), voli di linea cancellati su consiglio di esperti sanitari, università che rinviano la ripresa delle lezioni, con possibili perdite milionarie a causa del mancato arrivo di studenti cinesi. Turismo in ginocchio e il famoso ritorno in attivo che scompare ancora prima di materializzarsi.

E, della serie ‘quando non gira non gira’, l’epilogo dell’imbarazzante vicenda dei fondi per nuove infrastrutture sportive elargiti, con chiare priorità elettorali, dall’ex ministro Bridget McKenzie, con le forzate dimissioni (attribuite ufficialmente, con scarso rispetto per l’intelligenza degli elettori, a tecnicità burocratiche) che hanno portato i Nazionali ad infliggere un altro duro colpo alla Coalizione.

L’arrivederci della McKenzie, uscita solo momentaneamente di scena visti i complimenti per il lavoro svolto che le hanno rivolto sia il leader del partito Michael McCormack che il capo di governo, ha comunque aperto la strada ad un rimpasto della squadra, ma ha soprattutto dato vita ad uno scontro interno, con tanto di sfida per la leadership degli ex agrari risolta con un voto che ha solo messo in evidenza le profonde divisioni che ci sono nelle file dei Nazionali.

La conferma, mantenuta ‘segreta’ per ciò che riguarda i numeri (secondo le regole del partito), di McCormack ha aiutato Morrison sul fronte della continuità, ma ha creato il nuovo pericolo, già messo in preventivo dallo sfidante Barnaby Joyce, di possibili prese di posizione in Aula di alcuni colleghi su alcuni temi particolarmente sentiti in certe aree del Paese.

Un messaggio ribadito da uno dei grandi esclusi dal rimpasto annunciato da McCormack, il senatore ed ex ministro delle Risorse, Matt Canavan, che senza tanti giochi di parole ha ricordato il chiaro messaggio inviato a Canberra dagli elettori del Queensland, lo scorso maggio, per ciò che riguarda miniere (di carbone) e posti di lavoro. “Un messaggio - ha detto -  che forse non è stato ben capito e quindi bisognerà ribadirlo a voce più alta”.

Joyce, dopo aver perso la sfida di martedì scorso, ha corretto i contenuti di un articolo apparso su uno dei maggiori quotidiani nazionali, assicurando che non ci sarà alcuna guerriglia parlamentare da parte di alcuni dei suoi sostenitori come George Christensen, David Gillespie, Llew O’Brien e lo stesso Canavan, ma che i Nazionali saranno un tantino più incisivi nelle loro richieste e dovranno essere ascoltati un po’ di più su alcuni temi che hanno particolare peso e significato per i loro elettori, come il carbone e possibili nuove miniere, le risorse idriche e possibili nuovi bacini di raccolta dell’acqua piovana, i cambiamenti climatici e il taglio delle emissioni. Non sarà guerriglia, ma la tattica del confronto è abbastanza chiara.

Morrison è il quinto primo ministro che rischia grosso a causa delle politiche ambientali: Kevin Rudd aveva promesso troppo al riguardo e, appena ha cercato di riaggiustare il tiro (su consiglio di stretti collaboratori come Julia Gillard e Bill Shorten) dopo il fallimento del vertice di Copenaghen di gennaio 2010, i sondaggi sono scesi in picchiata e il suo stesso partito ha colto l’occasione per sbarazzarsi di un leader che avevano accettato per pura necessità, senza alcuna passione; Gillard non si è mai ripresa dall’introduzione, esclusa durante la campagna elettorale, della ‘carbon tax’;  il ‘negazionismo climatico’ di Tony Abbott è stato indubbiamente il filo conduttore dei trenta sondaggi negativi che hanno portato alla Lodge Malcolm Turnbull, caduto sotto il peso del NEG (il piano energetico National Energy Guarantee) che i laburisti hanno ‘usato’ con grande maestria politica. Hanno infatti reso la sua approvazione praticamente impossibile, con una campagna degna del miglior Abbott (il signor ‘no’ per eccellenza per semplice scelta tattica), anche se alla fine erano perfettamente d’accordo sull’idea tanto da riproporla quasi interamente nella campagna dello scorso anno. Un ‘no’ anti-Turnbull, come ammesso ieri in un’intervista televisiva dal viceleader laburista Richard Marles, che ha messo in evidenza, tra mille avvitamenti e contorsioni, quanto difficile sia per entrambi i maggiori partiti fare i conti con le realtà economiche e sociali del Paese (specie di certe aree del Paese) e le esigenze di affrontare il fenomeno dei cambiamenti climatici.  Un problema molto più evidente in casa liberal-nazionale data la presenza, seppur limitata,  di scettici che non sembrano più intenzionati a stare nell’ombra.

Ecco quindi Morrison davanti ad una sfida estremamente rischiosa, che metterà a dura prova la sua statura di leader: nelle prossime settimane annuncerà un nuovo programma energetico che dovrà cercare di ‘accontentare’ un po’ tutti, tenendo ben conto la realtà di una graduale rinuncia al carbone, ma spalmata in tempi sufficientemente lunghi (ammessi a denti stretti, parlando di decenni, dallo stesso Marles, che non è riuscito a nascondere che anche i laburisti hanno i loro tormenti programmatici, evitando di rispondere con un semplice  ‘sì o no’ alla possibile apertura di nuove minieredi carbone in Queensland) da non compromettere entrate e offerta d’impiego. Un programma improntato sulle nuove tecnologie, ma sempre all’insegna della sostenibilità economica e dei traguardi raggiungibili in linea col resto del mondo. Compromessi insomma nel tentativo di cambiare un po’ registro perché il Paese lo chiede, ma cambiare senza strappi e brusche accelerazioni come lo stesso Paese ha chiesto lo scorso maggio e come esigono certe esigenze pratiche, economico-finanziarie e politiche.

Morrison ha sbagliato sugli incendi, ha risposto con maggiore prontezza all’emergenza del coronavirus (anche se il problema è tutt’altro che risolto), ma forse poteva fare qualcosa di più per ciò che riguarda la crisi dei Nazionali (la scelta di McCormack di premiare esclusivamente i suoi sostenitori non l’aiuteranno). Meno male, per il primo ministro, che è arrivato il presidente indonesiano Joko Widodo a regalare una breve tregua dopo il via libera dato, giovedì scorso, da Giacarta all’accordo di partnership economica (Indonesia Australia-Comprehensive Economic Partnership Agreement, IA-CEPA). Una breve ma importante boccata d’ossigeno e i riflettori per un ‘attimo’ spostati su qualcun altro.