ROMA - Nato a Bologna il 12 agosto del 1947, Stefano Benni è scomparso oggi a 78 anni, dopo una lunga malattia. 

“Ricordate mio padre leggendo i suoi testi ai vostri amici”, lo saluta il figlio Nicolas. Del resto, l’invito alla lettura, qualunque lettura, è sempre stato uno dei motivi ricorrenti dello scrittore. 

“Come alcuni di voi sapranno, Stefano era molto affezionato al reading come forma artistica, lettura ad alta voce spesso accompagnata da musicisti. Quindi, se volete ricordarlo, vi invito in questi giorni a leggere le opere di Stefano che vi stanno più a cuore a chi vi sta vicino, ad amici, figli, amanti e parenti”, ha detto ancora il figlio, aggiungendo di essere sicuro che, da lassù, “vedere un esercito di lettori condividere il loro amore per ciò che ha creato gli strapperebbe sicuramente una gran risata”. 

Per Benni, a cui la malattia aveva da tempo tolto l’uso della parola, l’arte era qualcosa da trasformare in vita e condividere, da declinare in un racconto che dalla pagina scritta rimbalzasse continuamente nel vivere quotidiano.  

A consacrare il suo stile inconfondibile, tra ironia e umorismo tagliente, capace di un’analisi impietosa della realtà e della creazione di personaggi indimenticabili, fu Bar Sport. Pubblicato da Feltrinelli nel 1976, quasi cinquant’anni fa, si trasformò in un caso editoriale. Raccoglieva racconti dedicati a quei luoghi iconici che sono i bar italiani, quelli pre-movida e food district, con il bancone metallizzato e le vetrina con le pastarelle. Tra cui troneggiava da anni la mitica Luisona, immangiabile bigné farcito al cioccolato.

Il libro gli diede fama internazionale, fu tradotto in oltre trenta lingue e nel 2011 divenne anche un film, omonimo, diretto da Massimo Martelli con Claudio Bisio. 

Prima di passare alla narrativa, aveva pubblicato raccolte di poesie. Al romanzo arrivò con Terra! (1983), racconto di viaggi intergalattici alla ricerca di un pianeta perduto. Il suo sguardo sapeva volare sul mondo, raccontandolo come una surreale ammucchiata di maschere, in cui Benni esprimeva il suo punto di vista fortemente politico. 

In un libro-intervista con Goffredo Fofi del 1999 raccontava di aver amato molto il ’77, preferendolo al ’68: “Il secondo l’ho capito solo due anni dopo e non sono riuscito ad afferrarlo. Nel ’77 non tutto mi piaceva, però si parlava moltissimo di letteratura, di fumetto, di arte, non c’era solo la politica, e questo mi nutriva”. 

Considerava suoi maestri T.S. Eliot ed Edgar Allan Poe e ammirava Samuel Beckett e Stanley Kubrick, che definiva “i più grandi geni di questo secolo perché hanno detto le cose sempre dieci anni prima degli altri”.

Odiava la tv, ma amava il cinema e il teatro, per il quale ha scritto testi originali, come La moglie dell’eroe, e adattamenti di testi narrativi. 

“A volte mi è capitato di pensare a un film sulle trame dei miei libri, ma purtroppo la mia è una fantasia sovrabbondante, forse troppo costosa per il cinema”, dichiarò una volta lo scrittore. Eppure anche al cinema è arrivato anche in prima persona, firmando la sceneggiatura e la regia di Musica per vecchi animali (1989), diretto con Umberto Angelucci. 

Contemporaneamente continuava a tracciare la mappa della sua opera narrativa, sempre pubblicata da Feltrinelli: da Stranalandia (di cui è appena uscita un’edizione celebrativa) a Comici spaventati guerrieri, da La compagnia dei Celestini ai racconti de Il bar sotto al mare, ideale sequel di Bar Sport.

Molte le sue collaborazioni: i testi per Beppe Grillo, l’amicizia con Daniel Pennac di cui ha tradotto alcuni romanzi, le incursioni nella musica, i testi teatrali con Franca Rame e Dario Fo. Senza dimenticare gli articoli per l’Espresso, Panorama, Cuore e Tango, sempre con quello stile inconfondibile, surreale, poetico e stralunato.  

“Con la scomparsa di Stefano Benni la cultura italiana perde uno degli autori più originali. Scrittore, umorista, giornalista e drammaturgo, ha saputo raccontare il nostro tempo con uno stile inconfondibile e capace di unire satira e poesia”, lo saluta il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, definendolo come una “figura poliedrica e anticonformista che ha lasciato un segno nella letteratura e nello spettacolo”.