Si è spento a 78 anni Stefano Benni, scrittore, giornalista, drammaturgo e umorista tra le voci più note della letteratura italiana contemporanea.

Negli ultimi anni si era ritirato dalla scena pubblica, provato da una lunga malattia. Aveva collaborato con i principali quotidiani, sempre con un tono ironico e pungente, ma anche capace di arrivare al nocciolo delle questioni. Autore versatile e instancabile, nel corso della sua carriera ha pubblicato romanzi e raccolte entrati nell’immaginario collettivo, tra cui Bar Sport, Margherita Dolcevita, Elianto, Terra! e La compagnia dei celestini.

I suoi libri, tradotti in oltre 30 lingue, hanno raggiunto lettori in tutto il mondo contribuendo alla sua notorietà anche fuori dai confini italiani. Nel 2017, in occasione dei suoi 70 anni, aveva tagliato corto davanti alla più banale delle domande sul bilancio di una vita: “Non ho voglia di bilanci. Chiedetemelo di nuovo fra 70 anni”, era stata la risposta. 

Nato a Bologna nel 1947, ma cresciuto tra i paesaggi dell’Appennino, è stato segnato dalla sua infanzia passata sulle montagne. ‘Lupo’ era il suo soprannome, venuto fuori dalle ‘notti giovani’ trascorse a ululare in compagnia dei suoi cani: “Una bellissima follia notturna”, l’aveva definita. Da alcuni anni si era ritirato a vita privata, segnato da una lunga malattia, ma è rimasto sempre impresso il suo stile ironico, visionario e profondamente legato all’attualità, che emerge inossidabile in romanzi e raccolte che hanno fatto epoca. Tra i titoli a lui più cari Blues in sedici. 

Grande passione anche per il Teatro, con la ‘T’ maiuscola: aveva collaborato infatti con personalità come Dario Fo e Franca Rame; e poi con Paolo Rossi, Angela Finocchiaro e altri. Nel 2012 aveva esordito nella regia con Le Beatrici, al Festival di Spoleto. L’anno seguente in scena con un’opera sua, Il poeta e Mary, musica e parole sul valore sociale dell’arte. I libri, il teatro, ma anche il giornalismo: firma per Il Mondo, Panorama, L’Espresso, Il Manifesto e Repubblica. Autore televisivo, scriveva per un esordiente promettente, Beppe Grillo.

Un documentario biografico girato da Enza Negroni si intitolava proprio Le avventure del Lupo, presentato nel 2018 alla Festa del Cinema di Roma. Il ‘Lupo’ se n’è andato in solitudine, nella casa di riposo per artisti Lyda Borelli, a Bologna, dove era andato a trovarlo anche il suo amico scrittore Daniel Pennac, che lo chiamava ‘Fratello di scrittura’, perché fu lui, dopo aver letto i Malaussène, a farlo scoprire in Italia. Restano i libri di Benni. Ed è bello pensare che il ‘Lupo’ sia tornato sull’Appennino, dove tutto è iniziato, ora nuovo territorio sconfinato dove scrivere ancora eterne pagine. 

Il nome di Stefano Benni è legato indissolubilmente al Bar Sport che dava il titolo al suo primo romanzo del 1976, una fotografia dell’Italia di provincia con personaggi e aneddoti in cui ogni tifoso si è riconosciuto. “È uno di quei luoghi, immaginari ma non troppo, che ogni lettore crede di riconoscere e su cui esercita la fantasia - spiegò lo scrittore bolognese in un’intervista - così può provare nostalgia per qualcosa di bello e unico. Anche se spesso la realtà era più complessa e meno bella di quanto lui ami ricordare”.

Indimenticabile è il capitolo sulla Luisona, la pastarella-reliquia rimasta esposta dal 1959 che nessuno osava mangiare. “Guardando il colore della sua crema i vecchi riuscivano a trarre le previsioni del tempo”, la descriveva Benni narrando del giorno in cui fu consumata da un rappresentante “trovato appena un’ora dopo, nella toilette di un autogrill di Modena, in preda ad atroci dolori. La Luisona si era vendicata”.

Bar Sport descriveva un locale come ce n’erano in ogni angolo del Paese, Benni spiegò che era “un misto di almeno tre bar del Nord e due del Sud” senza però specificare quali: la locandina dei gelati confezionati, qualche sedia di plastica, le cannucce alla porta e dentro il juke-box, il flipper, la Gazzetta stropicciata. Ma è soprattutto uno spaccato antropologico con i suoi surreali personaggi, dal tecnico esperto di tutto al nonno da bar, dallo sparaballe al ragioniere innamorato della cassiera. In questa commedia umana si raccontavano il biliardino, le partite a briscola e il chiacchiericcio calcistico prima che le Pay-tv e Internet rivoluzionassero il modo di seguire lo sport, quando le partite si ascoltavano alla radio e i gol si vedevano a 90 minuto. Un microcosmo maschile in cui si discuteva animatamente per un rigore del 1966 o si sfornavano formazioni da mettere in campo. O dove fiorivano leggende, come quella del Piva, calciatore dal tiro portentoso.

L’immagine più vivida del romanzo resta quella della Luisona, diventata addirittura sinonimo di alimento non fresco. “Nel Bar Sport non si mangia quasi mai - era il racconto di Benni - c’è una bacheca con delle paste, ma è puramente coreografica. Sono paste ornamentali, spesso veri e propri pezzi d’artigianato”.

E la Luisona “era la decana delle paste”, “una pastona bianca e nera, con sopra una spruzzata di quella bellissima granella in duralluminio che sola contraddistingue la pasta veramente cattiva”. Lo scrittore in un divertente video aveva confessato di avere un rapporto d’amore-odio con questa sua ‘brioche letteraria’: “Ho scritto decine di libri ma per milioni di lettori io sono sempre e solo quello della Luisona”.