Nessun rimpianto, nessuna responsabilità diretta se qualcosa non va come dovrebbe andare.

“Stiamo facendo tutto quello che possiamo fare e continueremo a farlo nell’interesse della nazione”. Il primo ministro Anthony Albanese, venerdì scorso, al Circolo nazionale della stampa ha spiegato perché, secondo lui, dovrebbe ottenere un secondo mandato e, soprattutto, perché gli australiani non dovrebbero votare per Peter Dutton.

“La scelta da fare alle prossime elezioni – ha detto il capo di governo nel suo primo intervento ufficiale del 2025 – è la più chiara da decine d’anni.  Le differenze dell’offerta politica tra i due maggiori partiti è come il giorno e la notte. Una agenda completamente diversa, una visione completamente diversa per il Paese. Non solo due strade differenti da percorrere, ma due destinazioni differenti da raggiungere”. Ed è probabilmente quello che ci dirà anche Dutton. 

Entrambi i leader, infatti, l’avevano anticipato prima di Natale, sottolineando le profonde differenze ideologiche e programmatiche alla base dei loro obiettivi elettorali.

Albanese ha ribadito il tutto venerdì scorso, facendo riferimento ad una strategia senza fronzoli, sostenuta da fatti e verità, che si basa su quelli che sono sempre stati tradizionali punti di forza del suo partito: sanità in generale e Medicare in particolare, istruzione, giustizia sociale con occhio di riguardo, come aveva promesso anche nelle ultime elezioni (promessa tra l’altro mantenuta) per le categorie più deboli come i lavoratori meno pagati dei settori dei servizi per l’infanzia e per gli anziani. Poi il nuovo ‘leitmotiv’ dell’Australia che cambia, che vuole diventare protagonista di una nuova economia meno globalizzata, rilanciando la sua produzione interna. Ecco allora riscoprire l’idea del  ‘made in Australia’, soprattutto nel campo delle nuove tecnologie per la transizione energetica, altro tema con profonde differenze di base: “Rinnovabili contro il nucleare”, ha detto Albanese, semplificando al massimo la scelta tra i programmi energetici del governo e dell’opposizione. 

 Garantendo (ma ovviamente su questo punto non ci crede nessuno) che non inseguirà alcun accordo con i verdi nel caso di una mancata maggioranza alle urne, il primo ministro ha insistito sul tema dell’energia, dichiarando che mentre il suo governo sta costruendo un piano energetico che permetterà di abbassare i costi delle bollette, “la Coalizione ha intenzione, semplicemente, di tenere premuto il tasto della ‘pausa’ programmatica per una ventina d’anni per poi finanziare la più cara forma di energia del pianeta”. “L’opzione nucleare – ha continuato – significa ridurre i salari, rallentare il passo dell’economia, offrendo una produzione energetica non adeguata alle esigenze del Paese ad un costo più elevato”. 

A distanza, pronta la replica di Dutton che ha garantito che non chiederà mai l’appoggio dei verdi per formare un governo di minoranza, ma ha ammesso che non rifiuterà il negoziato con gli indipendenti nel caso che dalle urne esca un verdetto di parità. A seguire l’affondo sul tema caldo dell’energia, con l’accusa ad “un governo che sta portando il Paese verso il baratro”, con prezzi di luce e gas sempre più alti a causa di una intransigenza programmatica non sostenibile.

Sul tavolo di una campagna elettorale, non ufficiale, già partita, anche la ‘superannuation’, con un inevitabile scambio di accuse sulle modifiche che entrambi i partiti apporteranno al sistema dei fondi pensione e dribbling bipartisan sul tema fiscale con promesse, da parte dell’opposizione, di non precisate correzioni di rotta. Albanese invece sceglie di temporeggiare, riservandosi eventuali riposizionamenti in materia dovuti alle possibili conseguenze del nuovo corso alla Casa Bianca dopo l’insediamento di Donald Trump: il primo ministro però sostiene, con una punta di orgoglio, che il suo governo è sempre pronto a migliorare il sistema tributario, come ha dimostrato modificando, con “coraggio e lungimiranza”  – anche in virtù delle esigenze legate all’impennata del costo della vita –, la terza fase degli sconti fiscali che erano stati annunciati da Scott Morrison e Josh Frydenberg.

Albanese ha sostenuto che il cambiamento apportato dal suo governo è un autentico fiore all’occhiello della sua amministrazione, come l’avere evitato la recessione, creato più di un milione di nuovi posti di lavoro, avere portato l’inflazione dal sei al due per cento (valore che non coincide con i dati presi in considerazione dalla Banca centrale per determinare il costo del denaro). E per il futuro, alla base della richiesta di un nuovo mandato, ci sono: il completamento della rete NBN; l’incremento generale dei finanziamenti - secondo il famoso rapporto Gonski dell’era Gillard-Rudd - per le scuole pubbliche; il potenziamento del Medicare e l’accelerazione verso l’obiettivo di un sistema universale di assistenza all’infanzia.

Sulle difficoltà del momento del costo della vita, il primo ministro ha sostenuto, senza ‘sensi di colpa’, che il governo sta cercando di fare del suo meglio, dovendo fare i conti con le difficoltà di una spinta inflazionistica globale, della ‘lunga coda’ del Covid e delle imprevedibilità dei conflitti internazionali, primo fra tutti quello dell’Ucraina, con le conseguenze che ha avuto e sta ancora avendo in campo energetico.

Con la nuova amministrazione Trump ci sono altre incognite, ma “vedremo quello che succede e che implicazioni ci saranno a livello interno”, ha detto Albanese. Inevitabilmente, dirà lo stesso Dutton perché, effettivamente, l’imprevidibilità e il dialogo sono le due parole d’ordine del momento per qualsiasi partner commerciale o strategico degli Stati Uniti. 

La campagna elettorale per le elezioni, sempre più probabilmente a maggio, di fatto, è dunque iniziata, ma per i dettagli bisogna attendere qualche mese, dopo la sfida statale dell’8 marzo nel Western Australia che farà da prologo alla volata federale. 

Dutton, dal seggio laburista (ma nel mirino dei liberali) di Boothby, ad Adelaide, ha anticipato la possibilità di creare, in stile Trump, un Dipartimento per l’Efficienza governativa, pensando a quello che un futuro governo di Coalizione erediterà. Secondo il leader liberale, infatti, un nuovo governo si ritroverà nella stessa situazione in cui si erano trovati John Howard e Malcolm Fraser dopo il caos finanziario lasciato, rispettivamente, dalle amministrazioni Keating e Whitlam. Ma la paura più grande, che il capo dell’opposizione cercherà di trasmettere agli australiani, è la possibilità di un pari elettorale, come nel 2010, che porterebbe alla possibile formazione di un governo di minoranza laburisti-verdi.

“Un incubo già vissuto, un’esperienza da non ripetere”, assicura l’aspirante primo ministro. Quindi, decisioni nette: Albanese o Dutton, senza le complicazioni Bandt, teal e indipendenti vari. Ovviamente solo una pia illusione