Se la demenza senile fosse una nazione, sarebbe la 18esima potenza economica al mondo. Questo emergeva dal World Alzheimer Report di quattro anni fa, stimando i costi a livello globale in ambito economico e socio-sanitario a 818 miliardi di dollari americani.
E queste sono cifre destinate a crescere a un ritmo sempre più incalzante, con l’aumento dell’aspettativa di vita e l’invecchiamento della popolazione: se oggi sono quasi 50 milioni i malati di demenza in tutto il mondo, nel 2050 il numero rischia di toccare quota 130 milioni.
In Australia si stima che siano 447.115 le persone affette da demenza, una sindrome che costituisce la seconda causa di morte nella popolazione maschile e femminile (ma dal 2016 è la prima causa di morte tra le donne). Oltre gli 85 anni, la malattia colpisce tre persone su dieci, mentre dopo i 65 l’incidenza è di quasi una persona su dieci. 
Mentre gli scienziati lavorano a nuove terapie, le istituzioni cercano nuovi approcci a supporto di chi si deve prendere cura dei malati. Secondo una studio effettuato da Dementia Australia, sarebbero quasi 1,5 milioni le persone che nel 2019 si occupano di un malato di demenza.
La lunga durata della malattia e la necessità di cure e sorveglianza continue costituiscono un impegno gravoso per i familiari. Inoltre, il graduale deterioramento della qualità dei rapporti con la persona malata espone i familiari ad un crescente disagio psicologico, vissuto molto spesso nell’isolamento delle mura domestiche.
In Australia, questi aspetti sono ancor più pronunciati nelle comunità CALD (Culturally and Linguistically Diverse), anche perché tra le persone per cui l’inglese non è la prima lingua si registra un ritardo nella diagnosi e nella ricerca di supporto dal sistema sanitario. 
A questo scopo l’istituto di ricerca NARI (National Ageing Research Institute), con il sostegno del governo federale, ha creato il progetto multimediale ‘Moving Pictures – Dementia Awareness for CALD Communities’, una serie di video-interviste basate sulle storie di vita vera di chi si occupa quotidianamente di un malato di demenza.
Una prima serie di cortometraggi in tamil, hindi, cantonese, mandarino e arabo, commissionata due anni fa, è ora visibile sul sito movingpictures.org.au. Per ogni lingua sono stati creati tre corti, rispettivamente dedicati alla scoperta dei primi sintomi, alla ricerca di supporto, e alle pressioni psicologiche vissute da chi si occupa del malato. Per ogni lingua è disponibile anche un opuscolo informativo in versione fumetto.
Adesso il progetto è alle prese con quattro nuove comunità linguistiche: italiana, greca, vietnamita e spagnola.
“Sappiamo che spesso le comunità CALD tendono a cercare aiuto quando è troppo tardi, o quando il familiare che si occupa del malato è ormai allo stremo delle forze”, spiega Josefine Antoniades, project manager di Moving Pictures, che insieme all’assistente di ricerca bilingue Carlo Guaia, ha contattato il nostro giornale alla ricerca di partecipanti.
“Solo con una diagnosi precoce si può tentare di rallentare la progressione della malattia, e solo cominciando a cercare supporto il prima possibile si può sfruttare al meglio ciò che le istituzioni e i servizi sociali e comunitari hanno da offrire”, continua Josefine. 
È fondamentale quindi capire i primi sintomi dell’insorgere della malattia. Spesso sono i familiari a notarli ma tendono a minimizzarli o ad associarli all’avanzamento dell’età. È normale registrare un calo della memoria ma non è più normale se diventa un ostacolo allo svolgimento delle attività quotidiane. Il primo passo da fare è sempre una visita dal proprio medico di famiglia. 
“Un altro aspetto che cerchiamo di affrontare con ‘Moving Pictures’ - aggiunge Josefine - è quello dello stigma associato alla demenza senile, quasi fosse una condizione di cui vergognarsi. È importante far capire a tutti che si tratta di una condizione medica”.
Adesso il team di Moving Pictures sta cercando persone diposte a essere intervistate, cominciando dalle comunità italiana e greca, per raccontare l’esperienza di chi assiste un malato di demenza.
Le video-interviste sono condotte a domicilio con l’ausilio di un madrelingua (per l’italiano sarà Carlo Guaia) e durano dai 30 ai 60 minuti. La persona intervistata può vedere immediatamente il video registrato e discuterne con il team di Moving Pictures. Nelle fasi successive tutti i cortometraggi verranno valutati da istituzioni comunitarie e da un membro di ciascuna comunità linguistica, prima di essere resi pubblici. 
“Abbiamo ricevuto tantissimo feedback positivo dalle diverse comunità, perché abbiamo usato le loro voci. Sono persone vere, non attori, e questo aiuta a normalizzare il fenomeno. Aiuta a far capire che può capitare a chiunque”, conclude Josefine.
SUSANNA BURCHIELLI