ROMA - Claudio Campiti è stato condannato all’ergastolo per la strage da lui compiuta a Fidene nel dicembre 2022, durante una riunione del Consorzio Valleverde (un comprensorio residenziale in una zona collinare del Lazio tra Roma e Rieti), in un gazebo di via Monte Gilberto a Roma (nella zona Fiden-Colle Salario, appunto). Campiti aprì il fuoco, uccidendo quattro donne. 

Dopo aver confessato il delitto, ha dichiarato che il suo obiettivo non era colpire le singole persone, ma “l’istituzione”, definendo i membri del consorzio come “banditi”. L’uomo, in preda a forti problemi personali e a una grave depressione, viveva nel comprensorio Valleverde, ma era insoddisfatto della gestione da parte del consorzio e aveva covato un sordo risentimento contro i vertici. 

La sentenza è stata inflitta dai giudici della prima Corte d’Assise della Capitale, che hanno anche disposto l’isolamento diurno per la durata di tre anni. La sentenza è arrivata al termine di una camera di consiglio durata oltre sette ore. 

Contestualmente, è stata condannato a tre mesi (con pena sospesa), per omessa custodia dell’arma anche Bruno Ardovini, allora presidente della sezione Tiro a segno nazionale di Roma, dove l’uomo prelevò la pistola poi utilizzata per compiere gli omicidi. Assolto invece un dipendente addetto al locale dell’armeria del poligono di tiro. 

La Procura di Roma aveva chiesto l’ergastolo con isolamento diurno per due anni e sei mesi per Campiti, oltre a quattro anni e un mese per la presidente della Sezione Tiro a Segno e due anni per il dipendente dell’armeria, entrambi accusati di reati omissivi. 

Durante la requisitoria in cui chiedevano la condanna, i pubblici ministeri Giovanni Musarò e Alessandro Lia avevano ricostruito quanto accaduto quella domenica. 

Campiti entra nel gazebo e senza esitazione esplode il primo colpo. Quindi, si rende conto di un problema di caricamento e riesce subito a scarrellare e a ricaricare il colpo in canna, tornando così a sparare – e a uccidere – quattro volte in pochi secondi. 

A quel punto Silvio Paganini, definito “eroe civile”, approfitta di un momento in cui Campiti si gira per buttarsi su di lui. 

“Campiti si era abbigliato da combattente, aveva ancora oltre 170 proiettili e avrebbe potuto fare una strage ancora maggiore”, avevano i pm sottolineato chiedendo la condanna. 

Parlando di quanto accaduto prima dell’attacco, con Campiti che si allontana dal Tiro a Segno con l’arma, l’accusa aveva sottolineato come quanto successo non fosse imprevedibile. 

Secondo i pm, “esisteva un’area demaniale, con il più grande tiro a segno nazionale, in cui vigeva una specie di far west”, con totale assenza di cautele, tanto da permettere a Campiti di uscire con la pistola e andare via indisturbato.  

I magistrati hanno fatto notare che l’armeria dista 247 metri dalla linea di tiro e si deve necessariamente passare dal parcheggio, e nel percorso si costeggia il bar e i bagni, una zona di fatto pubblica e sostanzialmente aperta a tutti, dove evidentemente non c’era alcun tipo di controllo. 

Campiti non avrebbe quindi “approfittato di un momento di distrazione” per uscire con l’arma, bensì di “un regolamento interno al poligono che veniva applicato in quel modo da 30 anni”. 

I giudici hanno invece escluso come responsabili civili i ministeri di Interno e Difesa e dell’Unione italiana tiro a segno, in riferimento alla custodia dell’arma. 

“Il fatto che il ministero dell'Interno e della Difesa non siano stati riconosciuti come responsabili civili mi lascia sgomento, non era quello che ci aspettavamo. Mi sento tradito dalle istituzioni”, ha commentato Silvio Paganini, il sopravvissuto che bloccò Campiti.