Non c’è nulla di nascosto e di clandestino nella comunità di cittadini, preoccupati per il futuro della vita sul pianeta, che si è data il nome di Blockade Australia: basta andare sulla homepage del sito ufficiale per leggerne gli intenti. Nel 2022 le azioni di questa rete di attivisti per il clima sono servite da pretesto per introdurre leggi repressive che prevedono fino a due anni di carcere e aspre multe per chi ostacola il funzionamento di strutture di pubblica utilità. Sebbene le azioni di questo ed altri gruppi siano in genere contenute nell’alveo della nonviolenza e sostenute da motivazioni di alto valore etico, politici e autorità, aiutati dai media, ne hanno voluto distruggere l’immagine pubblica mediante un processo di criminalizzazione che induce a paragonarli a pericolose organizzazioni terroristiche. Si tratta di una tecnica messa in atto un po’ ovunque, anche in Europa.

Una tecnica che richiama tempi molto oscuri della nostra storia. Il 20 giugno del 1944 quarantatre giovanissimi partigiani, rastrellati nei giorni precedenti in Val Grande, furono fucilati dai nazisti a Fondotoce, sulla sponda piemontese del Lago Maggiore. Prima di essere portati davanti al plotone di esecuzione i giovani vennero fatti sfilare per le strade dei paesi che si affacciano sulla costa del lago. Il triste corteo aveva in testa uno striscione con la scritta: “Sono questi i liberatori d’Italia oppure sono i banditi?”.
Anche nelle azioni più infami i nazifascisti conoscevano l’importanza della propaganda e sapevano come instillare il dubbio e la paura fra le popolazioni.

Mentre mi trovavo ad un convegno che ricordava quella terribile strage, mi è accaduto di prendere parte a una conversazione in cui si parlava degli attivisti di Ultima generazione e di Extintion Rebellion, gruppi simili a Blockade Australia, molto attivi in Europa nella lotta contro il cambiamento climatico, che mettono in atto azioni clamorose, talvolta bloccando autostrade e aeroporti. Chi ne parlava, raccontandone le gesta, ne aveva definiti gli attivisti ecoterroristi, utilizzando l’epiteto che usa la propaganda governativa in tutta Europa per denigrarli. Non poteva non colpirmi l’analogia con gli eventi più antichi di cui, in quella stessa sala, si parlava. I giovani di allora e quelli di oggi, partigiani contro l’oppressore e partigiani per il clima, entrambi etichettati come banditi, eroi i primi, perché è acqua passata, terroristi gli altri, perché ostacolano la nostra quotidianità, rendendoci più difficile la vita. Chi ha inventato quella definizione è un genio della comunicazione, proprio come lo furono Mussolini ed Hitler.

La storia però ci mette in guardia da queste facili etichette. Fuorilegge furono infatti anche i coraggiosi che aiutarono gli ebrei a sfuggire all’olocausto. Fuorilegge furono quelli che assistevano gli schiavi in fuga dalle piantagioni del sud verso la costa orientale degli Stati Uniti. Fuorilegge quelli che lottarono contro il segregazionismo, riempiendo di indignazione l’America perbenista. Fuorilegge Nelson Mandela e tutti i sudafricani che, come lui, si impegnarono a demolire l’Apartheid in Sud Africa. La storia però ha dato ragione a tutti quei banditi e oggi siamo grati a quella gente che ha infranto leggi ingiuste in nome della comune umanità; le democrazie si sono nutrite del loro impegno e del loro sacrifico. Oggi, dovremmo essere grati anche per l’impegno degli ecoattivisti, che danno voce agli appelli inascoltati degli scienziati e ci mettono in guardia per un mondo che corre ciecamente verso il disastro. Invece, ci dicono che sono “terroristi”.

Questo termine è evidentemente sproporzionato e non dovrebbe essere usato per dei manifestanti che non uccidono, non feriscono, non arrecano danni duraturi. Qualcuno potrà indignarsi per le loro azioni e anche detestarli per i disagi che arrecano alla loro quotidianità, ma paragonarli a brigatisti e jihadisti è assurdo, è la conseguenza della propaganda di governo, che trasforma in nemico chi il mondo vorrebbero migliorarlo.

Contro questi nuovi partigiani i governi si accaniscono, varano leggi repressive, pronti a stravolgere principi costituzionali e ad infrangere il principio di proporzionalità della pena. Proprio l’Italia è divenuta un chiaro esempio di questa deriva, cosicché nella penisola lottare per l’ambiente, per i diritti, per la pace, per l’integrità dei territori è divenuto rischioso. È stato inventato persino un nuovo reato per condannare i detenuti che fanno lo sciopero della fame per protestare contro le pessime condizioni del carcere. I poteri vogliono che non ci agitiamo, che non pensiamo, che li lasciamo fare, ma, contro questa deriva autoritaria è necessario l’esatto contrario: non dobbiamo rinunciare a pensare, incontrarci, promuovere iniziative, protestare, anche quando è espressamente vietato. Soprattutto quando è vietato.

Per essere credibili, le linee guida di un tale impegno devono restare quelle gandhiane della nonviolenza: proteste pacifiche, disubbidienza civile, non collaborazione, resistenza passiva. Se protestare è un reato, se i ghiacciai muoiono, il clima impazzisce e ci dicono che dobbiamo solo restare calmi, se attivarsi contro una diga pericolosa o un ponte inutile è proibito, se ci è vietato difendere il territorio che abitiamo dalla speculazione, allora la democrazia diviene un simulacro e questo non possiamo permettercelo, a costo di essere chiamati banditi, come accadde ai partigiani, o ecoterroristi, come accade oggi.

Intanto, grazie alla separazione dei poteri, che tanti politici hanno in odio, non sempre le cose vanno nel senso auspicato dai governi. In Australia i tribunali, rendendosi conto delle buone ragioni degli ecoattivisti e dello scarso pericolo da essi rappresentato, hanno spesso comminato sentenze lievi e, nel dicembre 2023, la Corte suprema del New South Wales ha rilevato che alcune parti delle leggi anti-protesta approvate dal governo sono incostituzionali, perché infrangono la libertà di espressione. Il cammino è forse lungo, ma non privo di speranza per i “banditi” di questi tempi oscuri.
stravagario.aladino@gmail.com