Io chiedo quando sarà 

che l’uomo potrà imparare

a vivere senza ammazzare

e il vento si poserà

(F. Guccini – Auschwitz – 1966)

Quando accade, scrisse molti anni dopo Fabrizio De André, cantando il popolo rom: “Un uomo ti incontra e non si riconosce, ogni terra si accende e si arrende la pace”.

La pace sembra essersi arresa un po’ dappertutto. Assistiamo impotenti a quella che papa Francesco chiama la “terza guerra mondiale a pezzi”. Non c’è un continente dove non rullino i tamburi. Laddove ancora non si combatte si affilano le spade, pensando all’inevitabile; piuttosto che tentare di scongiurare la guerra che verrà, si pensa già a come combatterla. Presto chi crede nella nonviolenza non saprà più a chi rivolgersi e i disertori non avranno più terra dove rifugiarsi. Mi si perdoni il pessimismo, è sorretto da solidi fatti: l’Europa intera, continente che, dopo la carneficina della Seconda guerra mondiale, si riteneva ormai pacifico, si prepara alla guerra, spostando costantemente in avanti l’asticella di ciò che sembrava limite invalicabile. Oggi non è più tabù parlare dell’uso di armi nucleari.

Alcuni conflitti sono sotto i riflettori e ci inquietano: Russia, Ucraina, Medio Oriente. Occasionalmente tornano alla ribalta guerre dimenticate, come quella in Siria, con i drammatici sviluppi di cui siamo stati testimoni a inizio dicembre. Ma chi si ricordava che in Siria si combatteva già da tredici anni? Eppure, in quel conflitto sono coinvolte potenze regionali, dalla Russia alla Turchia, all’Iran. L’Europa si è indignata per l’invasione dell’Ucraina ma non ha criticato i bombardamenti russi in Siria, perché facevano comodo, tenevano a bada gli estremisti islamici; ha taciuto però anche su quelli della Turchia, che quegli stessi fondamentalisti li sostiene e non perde occasione di colpire i curdi. Ma la Turchia è troppo importante nello scacchiere NATO e per tenere a freno milioni di migranti, dunque non può essere criticata.

Ci sono poi quei conflitti di cui si parla poco e per questo non ci inquietano. Perché non ce ne interessiamo? A questa domanda dovremmo dare risposta, perché spesso dietro quelle guerre c’è lo zampino dell’Occidente e le bombe sotto cui si spezzano vite sono state fabbricate nei nostri Paesi. In Myanmar, ad esempio, è in corso una guerra civile dal febbraio 2021, quando i militari hanno rovesciato il governo. Secondo l’UNDP, l’organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo, a causa del conflitto e delle restrizioni imposte dai militari due milioni di persone, nei prossimi mesi, potrebbero letteralmente morire di fame.

Nella Repubblica Democratica del Congo, trent’anni di conflitti, in gran parte fomentati dalle potenze occidentali e dalle multinazionali, per accaparrarsi le sue enormi risorse minerarie, hanno lasciato sul terreno almeno sei milioni di morti. In certe aree del Paese, per chi sfugge al fuoco incrociato delle forze rivali e delle milizie private, c’è solo fame e disperazione e l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni parla di oltre sette milioni di sfollati privi di assistenza. In Sudan la guerra scoppiata a Khartoum è ormai dilagata in tutto il Paese, alimentata da interessi di potenze straniere.

Ormai tutto si misura e c’è anche chi si occupa di misurare le guerre: l’Institute for Economics & Peace ha ideato infatti il “Global Peace Index” e nella sua homepage denuncia: “I decessi dovuti a conflitti hanno raggiunto il massimo livello del secolo e la pace globale è in fase di costante declino”. Il rapporto 2024 dell’Istituto, scaricabile da Internet, informa che l’indice globale di pace è diminuito 12 volte in 16 anni, vi sono attualmente 56 conflitti in corso, in 97 Paesi si è registrato un peggioramento delle condizioni di pace e l’aumento delle spese militari è ovunque esponenziale.

In Europa, come in Australia, arrivano solo gli echi di questo incessante soffrire. Per ora ci sentiamo sicuri nei nostri confini. Da noi si affacciano solo le vittime, in fuga dai luoghi dove la terra brucia, ma cerchiamo di ricacciarle indietro, non ne vogliamo sapere. Non a caso la prima risposta dei governi europei alla presa del potere a Damasco delle forze jihadiste è stata il congelamento dei visti di protezione per i profughi siriani.

Passate le feste, sarebbe bene dismettere l’allegro clima natalizio e tornare a rileggersi i versi di “Auschwitz”, per domandarci se impareremo mai a vivere senza ammazzare.

Tra tante cattive notizie che hanno inaugurato il 2025 ne ho trovata però una buona: sul fronte orientale sono in grande aumento le diserzioni fra entrambi gli eserciti. I soldati russi e ucraini sono stufi di fare da carne da cannone. Si parla di defezioni a valanga. Tempo fa avevo citato uno studioso italiano che ha scritto della necessità di cambiare il nostro modo di guardare alla guerra, disonorandola. Quei soldati che rifiutano di sparare su gente come loro, che qualcuno in alto ha deciso fossero nemici, fanno proprio questo: disonorano la guerra, ci dicono che essa non è una soluzione e si ribellano alla sua logica. Dobbiamo aiutarli ad ogni costo perché, come ebbe a dire un altro papa, in momenti assai cupi della storia, “con la guerra tutto è perduto; nulla è perduto con la pace”.

stravagario.aladino@gmail.com