A fine agosto Mimmo Lucano, l’ex sindaco di Riace, quello che è stato messo in croce per aver creato un modello di accoglienza e integrazione di migranti e rifugiati lodato in tutta Europa, ha varcato la soglia del carcere di Reggio Calabria. Qualcuno aveva fatto di tutto perché ci alloggiasse da detenuto; invece, lui ci è entrato da cittadino libero e da eurodeputato. C’è andato, di sua spontanea volontà, per incontrare Maysoon Majidi, detenuta in attesa di processo. Lei aveva appena concluso uno sciopero della fame, pesava 38 chili, era sfinita, ma non aveva perso lo sguardo determinato di chi ha tanto lottato e non demorde, stupita di trovarsi dietro le sbarre in un Paese democratico dove è approdata in cerca di libertà, sfidando mille pericoli. La detenzione di questa donna è infatti un paradosso doloroso, un triste simbolo dell’Italia e dell’Europa di questi tempi.

Maysoon, 29 anni appena compiuti, curda di cittadinanza iraniana, è un’artista e una regista. Da nove mesi si trova in cella, con l’accusa di essere stata la “scafista” del natante con cui è sbarcata sulle coste calabresi assieme ad altri migranti. Basterebbe conoscere la sua breve biografia, per capire che l’accusa non regge: la sua è la storia di un’attivista per i diritti umani che, da ultimo, ha preso parte all’ondata di proteste organizzate dal movimento “Donna, vita e libertà”, scoppiate dopo la morte della giovane Masha Amini, assassinata dalla “polizia religiosa” per aver indossato male l’hijab. Per sfuggire a persecuzioni, carcere, torture e morte, Maysoon, nel 2019, si era rifugiata nel Kurdistan iracheno. Dopo la sua partecipazione alle nuove proteste, nel 2022, è dovuta fuggire anche da lì. Credeva che l’Italia fosse il porto sicuro, il luogo della libertà, da dove continuare la sua lotta. Invece, il sogno italiano si è trasformato nell’incubo del carcere.

L’accusa contro l’attivista iraniana si basa sulla labile e mal tradotta testimonianza, in parte ritrattata, di due persone che erano in viaggio nella stessa imbarcazione e che, in seguito, si sono rese irreperibili. Spiega il senatore Luigi Manconi, presidente dell’associazione A buon diritto, che la detenzione di Maysoon è resa possibile: “dagli articoli 12 e 12 bis del testo unico sull’immigrazione, che hanno contorni talmente approssimativi da poter essere manovrati. In questo modo la norma che vorrebbe contrastare l’immigrazione irregolare diventa una mazza per colpire chi rischia la vita per raggiungere l’Italia, una strategia che colpisce nel mucchio, con il risultato che i trafficanti non vengono colpiti mentre le loro vittime vengono perseguitate”. Alla ricerca di colpevoli, i governi si accaniscono verso i cosiddetti “scafisti”, cioè coloro che hanno guidato le imbarcazioni, ma non fanno nulla per colpire il traffico di esseri umani, reso possibile dalle norme che impediscono ai migranti di arrivare legalmente in Europa.

Guardo le poche immagini disponibili di Maysoon, il giovane volto, la figura esile, e faccio fatica a immaginarla al timone di un natante stracolmo di migranti. Ma, anche ammesso che l’artista fosse stata realmente alla guida dell’imbarcazione che, nel dicembre 2023, è approdata a Crotone, è ormai noto che ciò non ne farebbe una complice ma una vittima dei trafficanti, perché questi, per ogni “viaggio della speranza” che organizzano, individuano alcuni migranti e li costringono a mettersi al timone, dopo aver dato loro sommarie istruzioni di navigazione. 

I trafficanti non si imbarcano: non hanno alcun interesse a rischiare la vita in mare per essere poi catturati all’arrivo. Le modalità con cui vengono individuati i cosiddetti “scafisti” sono ben illustrate nel film “Io, capitano”, di Matteo Garrone; basta vedere quello, per capire. Nella quasi totalità dei casi perseguire gli scafisti non risolve il problema del traffico e aumenta l’ingiustizia. Già tanti giacciono con questa accusa nelle carceri italiane e Maysoon non è l’unico caso eclatante: in cella c’è anche Marian Jamali, un’attivista iraniana ventisettenne, che in cella ha anche tentato il suicido, sbarcata a Roccella Jonica nell’ottobre 2023, accusata di essere stata la scafista dagli stessi individui che, durante il viaggio, l’avevano aggredita e molestata sessualmente.

“Sono venuto qui per portarle la mia solidarietà – ha detto Mimmo Lucano sulla soglia del carcere –; so cosa significa subire procedimenti giudiziari e condanne quando si è innocenti. Ho voluto manifestare un gesto d’affetto per lei e per la causa dei rifugiati. Maysoon rappresenta anche la causa curda, è un’attivista per il rispetto dei diritti umani e si trova coinvolta in una storia grottesca”.

Maysoon ha anche rivolto un accorato appello al presidente della Repubblica chiedendo perché mai lei, sfuggita al carcere in Iran, fosse finita in cella in un Paese democratico: “Mi rivolgo a Lei e al popolo italiano con la speranza che la mia voce venga ascoltata e che la mia situazione venga risolta con giustizia e umanità. Sono venuta in Europa con la speranza di trovare una nuova casa e una nuova vita in una nazione in cui diritti umani, libertà e dignità dell’individuo hanno valore. Vi prego di non lasciarmi sola. La vostra azione può fare la differenza tra speranza e disperazione, tra libertà e prigionia”.

 Conchiuso nel suo ruolo istituzionale, il Presidente forse non può dire la sua; deve rispettare l’indipendenza della magistratura, ma molta gente semplice ha risposto all’appello e la giovane iraniana si è detta commossa dal movimento di opinione che si è creato in suo sostegno e che la seguirà durante il suo calvario giudiziario. Mimmo Lucano si è impegnato a portare la sua storia all’attenzione del Parlamento europeo e ha promesso che sarà in Aula durante il dibattimento, che si apre in questi giorni. “Ho trovato una ragazza magra, ma anche sorridente, che non perde mai la fiducia”, ha detto Lucano fuori dal carcere. Neanche io voglio perdere la fiducia, ma non bisogna dimenticare che Maysoon è il simbolo di una lotta più grande: una democrazia che incarcera le vittime è malata. Non solo bisogna battersi per la liberazione di Maysoon, ma anche lottare affinché le norme ingiuste che l’hanno portata dietro le sbarre vengano cancellate.

stravagario.aladino@gmail.com