Un frammento di storia patria sottolineato da parole beffarde: “Promesse fatte, promesse mantenute”. L’America odierna si vanta delle sue nefandezze mentre la Statua della Libertà piange, in bilico sul suo piedistallo e si è affievolita la luce nella torcia che tiene levata verso il cielo. Il mondo osserva perplesso; qualcuno applaude, altri si indignano. Comunque sia, l’America, come sempre, da spettacolo. Nell’emisfero meridionale le cose non vanno tanto diversamente, ma tutto è più discreto. Le notizie arrivano col contagocce e le informazioni bisogna andarsele a cercare. L’Australia può permettersi di violare silenziosamente i trattati che ha ratificato; con discrezione mette a repentaglio la vita dei richiedenti asilo, senza finire nell’occhio del ciclone mediatico.
Così come negli USA le amministrazioni guidate da presidenti del Partito Democratico hanno perseguitato ed espulso migranti tanto quanto quelle a guida repubblicana, ma senza troppo vantarsene, per non irritare una parte consistente del loro elettorato, così anche in Australia il governo laburista si dimostra capace di fare peggio dei suoi avversari politici (e lo fa in combutta con loro), senza alzare troppo i toni. Per giustificare la repressione pone l’accento su questioni tecniche, evidenzia la necessità di una gestione più efficiente dei centri di detenzione o si affida alle solite e sempre utili questioni di “sicurezza nazionale”.
Forse per via delle elezioni ormai in vista il governo federale ha voluto sottolineare la propria autorevolezza, mostrando di saper fare peggio degli avversari politici nel rendere la vita ancor più dura a migranti e rifugiati. La denuncia è arrivata a fine novembre dal Refugee Council of Australia: “Siamo sconcertati dall’approvazione di tre norme brutali sull’immigrazione che il governo di Albanese, alleato con l’opposizione, ha fatto transitare in Parlamento senza che se ne potessero considerare adeguatamente le profonde implicazioni. Le nuove leggi sono fra le più estreme che si siano viste nell’ultimo decennio, mettono a rischio delle vite e avranno conseguenze devastanti sulla vita di rifugiati, migranti e comunità multiculturali”. Un allarme la cui eco si è subito spenta. A dispetto delle preoccupazioni mostrate da legali, esperti della materia e centri di aiuto per rifugiati e nonostante l’allarme suscitato da alcune agenzie delle Nazioni Unite, non sono stati fatti passi indietro. Con quelle norme è stata ampliata la famigerata “Pacific Solution”, rafforzando la possibilità di rinchiudere i migranti per un tempo indefinito nei centri di detenzione situati in altri Paesi. È ora consentita la rimozione dal territorio australiano anche di stranieri il cui status di rifugiato sia stato già riconosciuto o i cui familiari siano cittadini australiani, senza alcuna misura di salvaguardia per evitare il ritorno in Paesi dove queste persone sono a rischio di persecuzione. È stato istituito un nuovo reato penale per i migranti che si rifiutino di cooperare al loro stesso rimpatrio, anche nel caso in cui gli interessati avessero motivo di temere persecuzioni nel loro Paese di origine: i richiedenti asilo si troveranno di fronte all’alternativa fra tornare fra le mani degli aguzzini da cui sono fuggiti o finire in carcere in Australia. Ai rifugiati rinchiusi nei centri di detenzione potrà essere sequestrato il telefono cellulare, impedendo loro i contatti con la famiglia e gli avvocati.
Sconcerta, in particolare, la facoltà che ha ora il governo, in spregio al diritto internazionale, di scrutinare nuovamente lo status di rifugiato già concesso, dando modo alle agenzie federali di deportare cittadini stranieri che si trovano già regolarmente nel Paese anche da molti anni, e questo anche nell’ipotesi che vi abbiano ormai costruito la loro vita, che abbiano lavoro e famiglia e siano ben inseriti nelle comunità che li hanno accolti.
Le norme approvate a novembre conferiscono inoltre al governo una sorta di immunità, così che nemmeno i familiari dei cittadini stranieri colpiti da questi provvedimenti potranno procedere in tribunale contro l’esecutivo o presentare richieste di risarcimento. Come ha dichiarato il portavoce del Refugee Council of Australia, il governo si è assolto preventivamente, rifiutando di assumersi qualsiasi responsabilità per le conseguenze delle sue azioni.
Su certe questioni le politiche degli Stati Uniti e quelle australiane spesso si assomigliano. Fra i due Paesi c’è anche reciproca simpatia benché chi, come me, ha vissuto a lungo in entrambi, può testimoniare le abissali differenze nella mentalità e stile di vita dei due popoli. Senza contare che, in stragrande maggioranza, i cittadini americani non sanno nulla dell’Australia e troverebbero difficile anche solo individuare sulla carta geografica il Paese dei canguri. Resta il fatto che due grandi nazioni che hanno fatto dell’emigrazione il fulcro della loro crescita, che hanno accolto milioni di stranieri disposti a lasciarsi alle spalle il passato per costruire qualcosa di nuovo e migliore nel nuovo e nuovissimo mondo, continuano a tradire la loro vocazione, perseguitando e respingendo chi arriva pieno di speranza e persino chi già è approdato e si è costruito una vita, contribuendo a quei miracoli in passato tanto celebrati, fra melting pot americano e multiculturalismo all’australiana.
Il sogno americano era simbolicamente rappresentato dalla Statua della Libertà pronta ad accogliere nel suo abbraccio i diseredati di altre sponde, oggi dimenticata persino dai newyorchesi e meta solo di gite per turisti curiosi. Per l’Australia non c’era nemmeno quella, ma solo un anonimo arrivare in porti e aeroporti per poi disperdersi fra città e campagne. Ma c’era quella sensazione di sentirsi bene in un Paese dove poteva esserci posto per tutti. Un bel sogno, che viene smantellato a poco a poco, senza l’enfasi che ci mettono gli americani, diffondendo la paura dello straniero e approvando leggi crudeli.
Il governo Albanese non aveva promesso di ricacciare i rifugiati al loro destino, come era invece nel programma elettorale di Trump. Eppure, le porte del Paese si stanno chiudendo sempre più e per molti che vorrebbero solo vivere la loro vita il destino si è fatto incerto.