Nel segreto della cabina elettorale spiegai la scheda, esaltato dal profumo dell’inchiostro e dai colori sgargianti dei simboli. Tracciai con decisione il segno su quello del mio partito. Mentre ripiegavo la scheda, accuratamente, mi pareva di star scrivendo la storia e di costruire il futuro. Mi sentivo parte di un grande movimento.
Oggi voto con scetticismo e ricevere la scheda a casa priva quel gesto del suo alone magico. Mi manca forse l’atmosfera solenne del seggio, luogo sacro in cui rinnovare il rito indispensabile della democrazia con un segno di croce. Ma non ho mai mancato un’elezione, anche se ho smesso di pensare che il mondo lo si possa davvero cambiare così. Del resto, sono passato attraverso quarant’anni di sconfitte elettorali. Anche questa volta, quindi, nessuna delusione: sapevo come sarebbe andata a finire, l’unico dubbio era la consistenza della mia sconfitta. Questa volta ho votato per salvaguardare la Costituzione, sperando che coloro che non l’amano non diventassero tanto forti da poterla stravolgere.
Confesso di avere avuto poco da gioire anche quando hanno governato certi partiti che, in teoria, mi potevano meglio rappresentare. Bombardamenti in Kosovo, Jobs Act, centri di detenzione per migranti, accordi criminali per rinchiudere poveracci nell’inferno libico: tutte cose inventate da forze politiche a cui talvolta ho dato credito. Rifletto su un ironico e saggio detto anarchico: “Se votare servisse a qualcosa non ce lo farebbero fare”. Ma non posso rinunciare.
Chi non la pensa come me mi propone di dar credito ai vincitori, farli almeno provare a governare, prima di giudicarli. Perché mai? Nella coalizione vittoriosa ci sono forze che hanno già governato a lungo e, per la prima volta nella storia della Repubblica, è maggioritario un partito ispirato a coloro che la Repubblica non la volevano e nemmeno la democrazia. Non ho motivo di dar loro fiducia.
Non sto prendendo le parti di chi è uscito sconfitto dalle urne. Non sono stati nemmeno capaci di varare la norma che avrebbe dato la cittadinanza ai giovani stranieri cresciuti in Italia: una legge di giustizia contro cui è stata condotta un’ignobile crociata. Non hanno saputo difendere il decreto contro l’omotransfobia, umiliati da un dibattito che ha assunto toni surreali. In tempi di pandemia hanno ulteriormente smantellato il servizio sanitario nazionale, deludendo medici e infermieri che avevamo chiamato eroi. Hanno alimentato una guerra spaventosa e boicottato scelte indispensabili nella lotta al cambiamento climatico. Non hanno difeso i lavoratori, sempre più precari e malpagati. Nemmeno hanno avuto il coraggio di modificare un sistema elettorale iniquo, magari illudendosi di trarne beneficio.
Così chi ha vinto le elezioni ha una forza istituzionale assai maggiore rispetto alla quantità dei voti ottenuti. Quella classe politica deludente non mi interessa, guardo altrove, ma, ai miei occhi, i vincitori sono anche peggio: sovranisti che promuovono un’idea di società arcaica, chiusa, identitaria e nazionalista; neofascisti coalizzati con simili formazioni europee; razzisti che farneticano di una cospirazione internazionale per sostituire gli europei con gli islamici; conservatori contrari ai diritti di migranti, trans e omosessuali; ambigui promotori di un regime fiscale che favorisce i ricchi; sostenitori di un inquietante progetto presidenzialista. Non discuto la loro vittoria elettorale, ne sono però spaventato.
Contro questa visione del mondo, opposta e antitetica a quella dei nostri costituenti, credo sia opportuno tornare a parlare di resistenza. Resistere si deve, non con le armi, come dovettero fare i partigiani, ma con l’impegno attivo: chiunque non sia d’accordo con quel progetto di società è chiamato a adoperarsi nel quotidiano, per rilanciare un’altra etica, progettare una società aperta, laica, pacifica, inclusiva, accogliente, ecologica, multiculturale.
I resistenti, gli operatori di pace e di giustizia già ci sono, intendiamoci, e già da tempo sono umiliati e perseguitati; la repressione non comincia ora. Basti pensare alla criminalizzazione di chi soccorre i migranti nel Mediterraneo e ai confini alpini, alla derisione che affrontano i volontari che fanno solidarietà concreta ed i giovani impegnati nella lotta al cambiamento climatico. Basti vedere la demonizzazione di chi si oppone alla guerra, fosse anche il Papa. Si dovranno rafforzare queste esperienze di resistenza e lanciarne di nuove. Bisognerà denunciare e boicottare ogni provvedimento ingiusto, discriminatorio o liberticida. Proteggere i deboli. Manifestare, democraticamente, sui luoghi di lavoro e per le strade, senza temere la repressione poliziesca che, come sempre, non mancherà. L’alternativa non potrà nascere nei palazzi del potere, andrà costruita dal basso e chi vorrà impegnarsi in questa resistenza, per essere credibile, dovrà abbracciare la nonviolenza, resistere senza far del male a nessuno anzi, amando i propri nemici.
Serviranno l’impegno di molti ed il sostegno di tutti. Penso a milioni di elettori che non hanno votato perché non credono più nella politica: li capisco, ma mi permetto di chiedere loro che non si astengano anche dal fare qualcosa. Chi non si è presentato ai seggi, che almeno si affacci alla sede di qualche associazione nel quartiere, si metta a disposizione e si dia da fare. Insieme nascono le idee e si costruisce solidarietà.
Non si tratta di vincere presto nuove elezioni: a che servirebbe ritrovarsi con la stessa classe politica? È di una nuova leadership che abbiamo bisogno, una futura classe dirigente che cresca fuori dal “transatlantico” di Montecitorio. Giovani idealisti non mancano neanche nell’Italia atomizzata e individualista di oggi, dove ciascuno è indotto a pensare solo a se stesso. Sono questi che dovranno emergere, sono loro che dobbiamo incoraggiare e sostenere. Forse potranno riparare ai danni che la mia generazione ha causato alla Repubblica. Salvare la Costituzione.
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