Non se ne vede la fine. Ogni tanto si parla di possibili negoziati, di cessate il fuoco, di trattative. Spiragli di pace presto delusi, fermati da un incidente, un attentato, una dichiarazione sprezzante. La speranza si spegne e la guerra continua: qualcuno preferisce che non finisca troppo presto.

A novembre, dopo gli attacchi a infrastrutture civili che hanno lasciato il paese al gelo minacciando di provocare una tragedia umanitaria, il Parlamento dell’Unione Europea ha riconosciuto la Russia “stato sponsor del terrorismo”, chiedendo di intensificarne l’isolamento internazionale. La Presidente Van Der Leyen ha proposto la costituzione di un “tribunale speciale” per costringere Mosca a pagare per i suoi crimini di guerra.

In campo pacifista queste prese di posizione sono state ritenute inopportune, non perché la Russia non abbia commesso crimini di guerra, ma perché rendono sempre più improbabile un ruolo di mediazione europea per un conflitto che, secondo eminenti strateghi, non ha soluzione militare. Una presa di posizione che è stata subito marchiata come filo putinista. I pacifisti sono infatti da tempo accusati di mantenere un’ipocrita equidistanza, di non saper distinguere fra le parti in conflitto, addirittura di simpatizzare per l’invasore.

Accusa infamante, parte di una campagna volta al discredito di chi non condivide l’atteggiamento guerrafondaio dei governi. La galassia pacifista è infatti sicuramente variegata, al suo interno si confrontano anime diverse, ma nessun sostenitore di Putin marcia sotto le bandiere della pace. Perché mai dovrebbe? I pacifisti non hanno avuto bisogno di attendere l’invasione dell’Ucraina per sapere che Putin è un pericoloso guerrafondaio assassino. Noi persone normali già conoscevamo la pericolosità di un uomo al potere per decenni, senza freni e senza controlli. Lo sdegno era stato già manifestato e l’allarme lanciato ad ogni nuova guerra di Putin, dalla Cecenia al Kosovo, dalla Georgia alla Crimea. Già si era manifestato contro un regime che elimina oppositori e giornalisti.

Ma i pacifisti sono rimasti inascoltati allora, quando gli stessi che oggi li accusano erano invaghiti di Putin; occupati a concludere con lui lucrosi affari, lo invitavano ai loro convegni; lo corteggiavano e qualcuno si è spinto a sostenere che egli fosse indispensabile, l’uomo forte di cui il paese aveva bisogno, capace di tenere sotto controllo la polveriera balcanica ed il complesso scacchiere russo. Chi, fra questi politicanti, ha alzato la voce per i massacri in Cecenia o in Georgia? E perché quei popoli non hanno meritato la solidarietà europea spesa oggi per gli ucraini?

È davvero inaccettabile che gli stessi personaggi che ieri banchettavano con Putin fra caviale, champagne e belle donne, in quel clima orribilmente patriarcale e maschilista, attacchino oggi i pacifisti, che non sono mai andati a inginocchiarsi alla sua corte e non chiedono altro che di non trascurare alcuna possibilità per giungere al più presto al cessate il fuoco, accusandoli di essere sostenitori del dittatore russo e di volere la capitolazione dell’Ucraina. 

Un’accusa assai più ridicola di quando si manifestava contro la guerra in Vietnam o le testate nucleari a Comiso e si veniva accusati di essere filosovietici. Se allora, infatti, c’era il sospetto dell’ideologia, di essere manipolati dal Mosca, quale interesse avrebbero i pacifisti odierni nello sposare l’orrenda ideologia putiniana?

Quanto alla guerra, il movimento pacifista, come sempre e con coerenza, è schierato con le vittime e chiede che il conflitto cessi al più presto per fermare massacri e distruzioni. Quanto alla Russia, è schierato con quelle migliaia di oppositori che sfidano il regime rischiando vita e libertà e con gli obiettori, che sfuggono al servizio militare. Nessuna accondiscendenza, nessuna giustificazione e non perché non fossero comprensibili le preoccupazioni della Russia rispetto alla continua espansione della Nato verso i suoi confini, né perché l’Ucraina non avesse la sua parte di responsabilità, ma perché la guerra non è mai la soluzione, ma è sconfitta della ragione e dolore inutile per milioni di innocenti. Perché non esistono guerre giuste, né sante.

Per i pacifisti non si tratta dunque di salvare l’onore dell’Ucraina ma la vita della sua gente. Dell’onore delle nazioni si sono gonfiati di sangue i campi di battaglia di due guerre mondiali. Con quella retorica i nazifascisti hanno trasformato l’Europa in un cumulo di rovine fumanti e questo è esattamente ciò che resta alla fine di ogni guerra: non l’onore perduto dei vinti e l’orgoglio dei vincitori, ma orfani, vedove, madri che non rivedranno i loro figli, reduci feriti dentro e fuori, profughi senza posto dove tornare, rovine, paesi da ricostruire, odii che dureranno per generazioni e debiti di guerra che peseranno per decenni.

Non, dunque, la vittoria militare ci interessa, non l’umiliazione del nemico, ma il ritorno alla ragionevolezza, la ricerca di una soluzione diplomatica, la trattativa che metta fine alle ostilità e sia capace di costruire le future relazioni fra popoli fratelli che oggi si stanno combattendo per volere dei loro governanti criminali e delle lobby che si arricchiscono nell’ombra.

L’Europa avrebbe dovuto lavorare per una soluzione negoziale ma con quale credibilità potrebbe farlo oggi? Non solo alimenta il conflitto, fornendo armi all’Ucraina, ma perde anche credibilità quando denuncia i crimini russi ma tace su quelli degli alleati. Non dimentichiamo infatti che l’Arabia Saudita continua la guerra nello Yemen e la Turchia bombarda i curdi nel Rojava e l’Europa, su questi crimini commessi da governi “amici”, tace. Noi pacifisti pensiamo invece che tutte le guerre siano sbagliate e nessuna vada dimenticata o giustificata.