Riferiva Platone nel IV Secolo AC e sosteneva anche il funzionario Vegezio quando, nello stesso periodo, propose la riforma e il rafforzamento dell’esercito nel suo Epitoma rei militaris: “Dunque, chi aspira alla pace, si prepari alla guerra”.

Oggi quel motto risuona di nuovo nell’Europa che vuole armarsi a dismisura dimenticando che la Pax romana era in realtà guerra continua e logorante e chissà che l’astuto Vegezio non avesse a guadagnarci dalle commesse per forgiare vecchie armi e inventarne di nuove e più efficaci.

Il mondo che si sta disegnando nei palazzi del potere e nelle ville dei ricchi mi appare terrificante. Potenti e miliardari di varie latitudini dicono, pianificano e fanno cose raccapriccianti, nella più totale impunità.

Accade che il Presidente di una grande democrazia, disperatamente malata, possa parlare con sconcertante superbia, quasi fosse un imperatore che può decidere del destino degli altri secondo il suo capriccio, o seguendo un suo personale desiderio di rivalsa, mentre la sua corte applauda ammirata ad ogni sua affermazione, anche quando priva di qualsiasi senso logico.

Accade che davanti al mondo intero quel Presidente abbia cacciato dalla sua residenza il capo di un paese alleato, aggredito da una potenza nemica. 

Accade che egli possa impunemente organizzare vendette, minacciare annessioni, cambiare alleanze, accaparrarsi le risorse di altre nazioni e progettare, senza vergogna, la deportazione di due milioni di individui da un pezzo di terra che vorrebbe trasformare in resort turistico, rievocando così il modo in cui la sua nazione si è formata: con il furto della terra ai popoli nativi, talvolta sterminati, altre volte deportati a migliaia di chilometri di distanza, per fare spazio ai coloni.

Non so come dovesse apparire ai sudditi la Roma imperiale che si avviava verso la decadenza, quanto spaventoso fosse vedere un impero che moriva, in tempi in cui le notizie ci mettevano forse anni per arrivare nelle province più lontane. Oggi, che le notizie viaggiano veloci, possiamo testimoniare come un altro impero si stia sgretolando, mentre crescono gli odi e le fratture fra i suoi stessi cittadini; vediamo come stia perdendo autorevolezza, mentre tradisce pubblicamente i principi morali che ne rendevano accettabile lo strapotere. Possiamo vedere come sia diventato un potere autoreferenziale che non ammette critica, impone la sua ideologia, perseguita chi si oppone e ammette nella sua cerchia briganti di ogni sorta. Tutto questo dovrebbe spaventarci, perché quel paese allo sbando possiede la macchina bellica più grande e minacciosa dell’intera storia umana, mentre i suoi dirigenti discutono in chat come mettere in atto piani di attacco, mostrando al mondo la loro crudeltà, insipienza e inettitudine.

Accade anche che a un megalomane ricchissimo e squilibrato, evidentemente incapace di rapporti umani normali e di empatia, vengano dati mezzi e poteri che in altri tempi una democrazia non avrebbe immaginato possibile delegare a un tale strampalato pagliaccio. L’uomo in questione, che ha speso una follia per spedire un’automobile nello spazio, è oggi il DOGE stralunato di una nazione che ha perso l’orientamento: autorizzato a minacciare impiegati pubblici, ridimensionare o chiudere agenzie di stato e tagliare programmi in maniera insensata, ha potuto impunemente interferire nelle elezioni di una nazione alleata e minacciarne un’altra, aggredita da una potenza straniera, di metterne in ginocchio gli apparati di difesa staccando la spina dei suoi sistemi satellitari. Abbiamo appreso così di come, chi ci governa, abbia accettato di affidare materie strategiche a ricchi affaristi rinunciando alla sovranità, per cui un singolo essere umano può avere in mano i destini di molte nazioni.

Accade che la vecchia Europa non sia più in grado di darsi una direzione comune e appaia capace di accordarsi solo sulla folle spesa militare e sulla caccia allo straniero. Si tratta di quella stessa Europa che, risorta dalle ceneri dell’ultimo conflitto mondiale, aveva saputo scrollarsi di dosso i totalitarismi del Ventesimo Secolo e disegnare l’architettura di un’unione che ha reso fratelli popoli che per secoli si erano sanguinosamente combattuti, consentendo di prosperare in pace, conoscersi e anche un po’ mischiarsi. Quella stessa Europa che aveva costruito la sua democrazia su valori comuni e diritti civili che parevano inalienabili oggi dice ai suoi giovani di prepararsi ad un futuro spaventoso, si prepara alla guerra e fomenta persecuzioni, rinunciando alla sua civiltà giuridica, al welfare e al green deal.

Accade che il governo di Israele approfitti dell’impunità garantita dal mantra per cui qualsiasi critica al suo operato è pregiudizio antisemita per bombardare, affamare e terrorizzare una popolazione inerme vittima di una tragica vendetta e, mentre gli esponenti più estremisti della compagine governativa pianificano apertamente un progetto colonialista che prevede la pulizia etnica a Gaza e in Cisgiordania, la maggior parte di noi assiste inerte e talvolta indifferente al massacro e a chi si indigna e protesta si risponde sempre più spesso con cariche della polizia, galera e deportazioni.

Accade che il grido d’allarme degli scienziati di tutto il mondo sulle disastrose conseguenze del surriscaldamento globale sia ormai solo un’eco lontana che nessuno più vuole ascoltare, cosicché quella che avrebbe dovuto essere la grande battaglia di questi tempi, che avrebbe dovuto unirci tutti per salvarci dalla crisi climatica, sta scomparendo dall’agenda politica mondiale.

Accade che i nazionalismi più biechi spadroneggino, fomentando odi e divisioni, mentre il multilateralismo come idea di governo condiviso del mondo, simboleggiato dalle Nazioni Unite, sia sempre più offeso, denigrato, svuotato di significato.

Si vim pacem para bellum, dicevano i tribuni imperiali, ma questa pace armata che si va costruendo porta i segni di quella pace terrificante, di cui aveva cantato De André nella sua profetica Domenica delle salme, trentacinque anni fa. Per opporsi al mondo che si sta progettando nei palazzi del potere sarebbe necessaria una grande mobilitazione popolare ma temo che, come nella canzone, prevalgano smarrimento e apatia, e la “vibrante protesta” resti solo, per ora, un irritante e inutile frinire di cicale.