Armi per salvare vite. Un ossimoro antico, difficile da smentire, con l’invasione scandita da massacri, esecuzioni, stupri e saccheggi.
L’Occidente a guida statunitense ha risposto con convinzione e ardore, fornendo all’Ucraina un quantitativo impressionante di armamenti, sempre più sofisticati e aggressivi. Missili per salvare vite umane: un ossimoro senza soluzione.
L’industria bellica esulta. Per prosperare deve dimostrare l’ineluttabilità della guerra, la necessità di armarsi come unica via per difendere il cosiddetto “ordine mondiale” che, per giustificare la propria persistenza, conta sul nemico di turno, quello che, di volta in volta, assume le sembianze del grande dittatore, simbolo del male assoluto, che ha insanguinato il Novecento, demone capace di rinascere dalle proprie ceneri in forme sempre nuove. In passato Hitler prese le sembianze di Saddam Hussein, fino a poco prima prezioso alleato. Poi è stato il turno del Mullah Omar. Oggi i fanatici talebani sono liberi di perseguitare le donne e la Turchia, membro della NATO, può impunemente bombardare i curdi del Rojava, impegnati contro l’ISIS.
Oggi il fondamentalismo islamico non è più il nemico, Hitler ha il volto di un’altra follia che arriva dalle steppe orientali; i tratti di un maniaco che i politici occidentali avevano finto di scambiare per statista, nei tempi non lontani in cui Putin era l’ospite d’onore e con lui si facevano affari d’oro, ignorando le sue guerre e le persecuzioni di oppositori e giornalisti russi.
I favorevoli a fornire le armi sostengono che la solidarietà con il popolo ucraino passi necessariamente dall’aiutarne lo sforzo bellico.
Il conflitto deve concludersi con una vittoria schiacciante, per ridimensionare la Russia, contenerne l’espansionismo. Chi invece si schiera contro le forniture belliche osserva che le armi non stanno riducendo le sofferenze della popolazione e che la priorità della comunità internazionale non dovrebbe essere alimentare il conflitto ma fermarlo al più presto, promuovendo la trattativa.
Lo spazio pubblico per questo dibattito è nullo: chi propone una soluzione diplomatica viene accusato di volere l’Ucraina umiliata e sottoposta al dominio imperiale russo.
Mi chiedo se non sia stata inaugurata una politica nuova, con l’Occidente impegnato a fornire armi ai popoli resistenti, coerentemente con quanto si sta facendo con l’Ucraina. L’elenco sarebbe lunghissimo: dal Tibet al Rojava, dallo Yemen ai saharawi, fino al Congo e ai popoli indigeni perseguitati ovunque. Ma, a guerra in corso, la Spagna ha compiuto passi diplomatici straordinari per riconoscere la sovranità del Marocco nel Sahara Occidentale, compromettendo la lotta per l’indipendenza del popolo saharawi. Non a tutti i popoli oppressi riserviamo lo stesso trattamento e le armi le vendiamo soprattutto agli oppressori, compreso Putin, prima che fosse Hitler.
Per l’Ucraina un’ansia bellicista ha assalito l’Occidente. l’obiettivo non è più fermare l’invasore, ma distruggere il nemico, scalzare lo zar dal potere, umiliare il popolo russo. Questa guerra va combattuta fino in fondo, costi quel che costi. I libri di storia si occuperanno poi di celebrarla, a meno che l’oblio non finisca per avvolgere il mondo in una grande nuvola radioattiva: negli arsenali nucleari c’è ancora quanto basta per distruggere molte volte il pianeta.
All’inizio di aprile il premier britannico, in visita a Kiev, ha rivolto maschie parole al presidente ucraino: “Siete chiamati il popolo di acciaio e ciò riflette lo spirito che state mostrando. Gli ucraini hanno dimostrato coraggio da leoni e tu hai dato loro il ruggito. Il Regno Unito e altri forniranno quanto necessario affinché l’Ucraina sia fortificata e protetta”. Meno di due settimane dopo il presidente USA, a nome della NATO, ha chiamato a raccolta i maggiori produttori mondiali di armi, per verificarne la capacità di fornire all’Ucraina quanto necessario: “nella prospettiva di una guerra che potrebbe durare anni”.
Oggi si può gioire senza arrossire per ogni giovane soldato russo caduto e mostrare disprezzo verso ogni giovane ucraino che non vorrebbe combattere. Notiziari e social abbondano di entusiastiche informazioni tecniche sulle armi utilizzate ed analisi dettagliate delle strategie militari sul campo. Sembra di essere stati catapultati all’inizio del Novecento, quando il manifesto futurista aveva esaltato la guerra come “igiene del mondo”.
Ma un giorno ci risveglieremo da questo sonno della ragione e vedremo che questa guerra, come tutte, sarà stata solo morte e dolore e avrà lasciato corpi da seppellire, disabili da assistere, macerie da rimuovere, città da ricostruire e profughi ovunque. Gli odii saranno profondi e nulla sarà stato risolto. Allora ci si potrà finalmente chiedere se davvero valesse la pena alimentare il conflitto per questioni di principio o se non avesse avuto maggior senso investire nella ricerca della pace e del dialogo.
Un nodo che forse è possibile sciogliere solo se si guarda agli avvenimenti da un altro punto di vista: quello del rifiuto assoluto della guerra come mezzo di soluzione delle controversie. Senza il ripudio della guerra, senza coltivare il sogno di abolirla, costruendo relazioni nuove fra i popoli, è difficile conferire dignità ad uno sguardo sulla realtà che è totalmente altro.
Uno sguardo necessario, che consente di immaginare soluzioni che si trovano su un piano diverso da quello della vittoria militare, dove l’Europa potrebbe assumere un ruolo propositivo, se solo cessasse l’umiliante subordinazione alle direttive USA e NATO. Le proposte per una soluzione non armata non mancano. I pacifisti italiani non cessano di elaborarle, sottolineando che non si tratta di vincere la guerra, ma di vincere la pace.
stravagario.aladino@gmail.com