MONTEVIDEO - Qual è la relazione tra teatro e psichiatria? Fra i tanti collegamenti esistenti nel corso della storia ce n’è uno particolarmente speciale per il Teatro Nucleo, ed è legato alle sue stesse origini.
Fondata nel 1974 a Buenos Aires, da Cora Herrendorf e Horacio Czertok, la compagnia ha operato per diversi anni nel Paese, portando in scena spettacoli teatrali e pubblicando la rivista Cultura. Fino a quando, a causa dell’aggravarsi della repressione politica in Argentina, nel ‘76 il Teatro Nucleo ha finito con l'emigrare in Italia.
Horacio Czertok, a Montevideo grazie ad una collaborazione con l'Istituto Italiano di Cultura, ha tenuto un seminario in cui ha raccontato la storia della compagnia teatrale italo-argentina.
Sbarcati in Italia da esiliati, senza lavoro, senza permesso di soggiorno e con i pochi soldi rimasti in tasca, hanno trovato un'accoglienza calorosa a Ferrara, dove sono stati ingaggiati dal direttore dell’ospedale psichiatrico locale. Quest’esperienza ha coinvolto la compagnia nel movimento della rivoluzione della psichiatria democratica, che ha poi portato, con la legge 180, all'abolizione degli ospedali psichiatrici.
Nei manicomi “le persone sono lì perché nessuno li vuole, per ragioni che in realtà non hanno nulla a che vedere con la psicologia. Ha a che fare con la costruzione della nostra società, che tende ad allontanare tutto quello che non le conviene – spiega Czertok –. In quel periodo erano 150.000 i pazienti degli ospedali psichiatrici italiani, una piccola popolazione sparsa nei vari centri del Paese”.
Negli anni ‘70, con la nascita di Psichiatria Democratica, un’associazione fondata da Franco Basaglia (allora direttore del manicomio di Trieste) con l’obiettivo di liberare i malati dalla segregazione manicomiale, alcuni psichiatri si sono posti come scopo denunciare le condizioni disumane in cui si trovavano i pazienti di queste istituzioni e promuovere una riforma psichiatrica. E come metodo per sensibilizzare la popolazione alle atrocità di quei luoghi, l'associazione propose l’apertura dei manicomi, per fare in modo che tutte le persone potessero entrarvi per conoscerli.
Quando Teatro Nucleo collaborò con Antonio Slavich, direttore dell’ospedale psichiatrico di Ferrara e collega di Barsaglia, Psichiatria Democratica “si trovava nella necessità convincere la popolazione a un cambio di paradigma” ricorda Horacio.
Un'operazione non facile perché nessuno voleva un cambiamento: non lo volevano i pazienti, né il personale medico, né tantomeno il resto dei cittadini.
“Solo i direttori degli ospedali volevano un cambiamento, e nella disperazione chiamarono gli attori. Pensavano che per modificare il modello ci volesse una nuova visione” racconta Czertok.
“Noi artisti contiamo su una specie di irragionevole ottimismo che ci fa pensare che l’impossibile sia possibile – dice ancora –. E finalmente riesci a portare in manicomio un migliaio di cittadini che fino a quel momento non volevano averci niente a che fare, e che non solo entrano a vedere cosa succede lì dentro, ma si divertono. È lì che hai creato un incontro, che è la parola che definisce il teatro per noi. E in questo caso si è trattato di un grande incontro, in cui era difficile stabilire chi fossero gli attori e chi gli spettatori”.
Dall’incontro di due mondi così diversi, come lo sono il teatro e la psichiatria, è nata un’occasione unica per la compagnia. “Improvvisamente ci siamo trovati davanti a quest’opportunità che è arrivata in un pacchetto regalo: vi invitiamo a partecipare alla rivoluzione psichiatrica italiana” ha spiegato Czertok.
Il processo che ha portato all’approvazione della Legge 180 del 1978 (che imponeva la chiusura dei manicomi e regolamentava il trattamento sanitario obbligatorio), è stato lungo ed è partito da psichiatri rivoluzionari che hanno creato i principi della psichiatria territoriale (settore che si occupa della progettazione, realizzazione e gestione di programmi di intervento). Questi psichiatri, che avevano come obiettivo l’abolizione dei manicomi, cercavano già un’alternativa per i pazienti, che a quel punto non avrebbero più avuto un posto che si occupasse di loro.
“Questa gente viveva nel passato, ma lavorava per il futuro. È qualcosa difficile da ottenere in politica, sapevano di combattere una battaglia facile da perdere. La gente non era entusiasta di votare i politici che difendevano questa legge. Era una legge fondamentalmente antipatica – spiega Czertok –. Abbiamo utilizzato la visione. Abbiamo chiamato artisti, musicisti, pittori, tutta la gente che ha iniziato a trasformare quei luoghi d’orrore, in luoghi curiosi. Posti che suscitavano l’interesse della gente perché apparivano nelle notizie, nelle riviste e nella televisione”.
Nel corso dei decenni successivi, il Teatro Nucleo è cresciuto e si è consolidato dal punto di vista artistico e culturale, ma ha continuato sempre con la visione originale, così com’era nata in Argentina: “Eravamo abituati a lavorare per il pubblico che ci interessava, cioè un pubblico alienato, spettatori a cui il teatro non dava importanza, perché non significavano nulla, oppure qualcosa di negativo”.
E una delle sfide che la compagnia ha dovuto superare è stata cercare un linguaggio che gli permettesse di ritrovarsi con gli spettatori, senza tener conto delle diversità del pubblico in platea.
La risposta è arrivata dalla Commedia dell'Arte, una forma di spettacolo nata in Italia nel XVI secolo come risposta a quella stessa necessità (Carlo Goldoni è l’esponente più importante).
“Se loro avevano trovato una lingua con la quale erano riusciti a comunicare per secoli, lo stesso valeva per noi – conclude Czertok –. E così abbiamo fatto: abbiamo lavorato, abbiamo costruito un linguaggio in comune e abbiamo viaggiato in tutta Europa per 30 anni, esibendoci per le strade, nelle piazze, per un pubblico che non parlava la nostra lingua e che nemmeno noi capivamo. Ma non importa, tutti conoscono la lingua del teatro, è una cosa che ci portiamo nel sangue”.