Un animo inquieto. Una curiosità smisurata. Un cuore diviso tra mondi diversi e capace, con pazienza e passione, di coltivarli insieme. Teresa Castelvetere, docente di lingua giapponese alla University of Melbourne, nata ad Adelaide da genitori calabresi e con un lungo tratto di vita vissuto tra Australia, America, Giappone e Inghilterra, è una donna in movimento da sempre. E non per fuggire, ma per cercare. Cercare cosa? 

La risposta non è lineare, come non lo è il suo percorso. “Non puoi mai sapere dove ti porta la vita”, dice. E in effetti, nulla nella sua vita sembra seguire un piano tracciato: tutto sembra partire da un’intuizione, da un incontro, da un dettaglio apparentemente casuale. Come quel corso di karate che aveva fatto all’università: il nuovo maestro un giorno aveva invitato gli allievi a casa per pranzo, ma la moglie non parlava una parola d’inglese e comunicava solo in giapponese. 

Il giapponese è arrivato proprio così, per caso e per pura curiosità. Una lingua aliena, che però le parla dentro sin da subito: “Era come fare un puzzle che nessuno capiva. Io, però, sapevo esattamente dove mettere i pezzi”.

Eppure, la storia di Teresa inizia ben prima. Comincia tra Benestare e Careri, due paesi abbarbicati sulla costa ionica calabrese, là dove la Magna Grecia ha avuto un impatto culturale e linguistico determinante.

Suo padre e sua madre abitano a pochi chilometri di distanza, sono sposati con altre persone e si conoscono solo quando arrivano in Australia. Una terra promessa, eppure a volte crudele con i nuovi arrivati, in un’epoca in cui partire significava spesso anche perdersi.

“Mia madre è arrivata e subito è stata vittima di violenza domestica mentre mio padre è rimasto solo perché la moglie non l’ha voluto raggiungere qui”, racconta Castelvetere con emozione.

Ma da quella frattura avviene l’incontro fra i suoi genitori.

La sua infanzia è un continuo scarto tra mondi: “A scuola ero australiana; a casa ero italiana. Ma non mi sentivo pienamente nessuna delle due”. Quando cresce, l’università la porta a studiare storia, ma è il Giappone che la accoglie come una terza patria. Una lingua che la prende per mano e la accompagna lontano: prima negli Stati Uniti, dove prosegue gli studi presso la Columbus University; poi  a Tokyo, dove è coinvolta in un progetto di ricerca tramite l’Università di Stanford.

Ma le radici, quindi l’Europa, le restano negate. Per una questione burocratica – la cittadinanza italiana persa, come tanti figli di migranti naturalizzati – e anche esistenziale. Finché non arriva un inglese, “in vacanza in Australia”, e lei lo segue a Bristol, mollando tutto: il lavoro statale presso il Public Service del South Australia, nel dipartimento del Premier, Don Duston, la pensione dorata, la promessa di una cattedra. “Tutti mi dicevano: ‘Ma sei matta? Ma cosa ti metti a fare adesso?’”.

Eppure, parte. È così che va quando la bussola che ci orienta è quella della curiosità.

In Inghilterra insegna, traduce. Ma non finisce il suo dottorato di ricerca. E forse non importa. Perché la vita vera, per Teresa, non è solo nei libri, ma nella scoperta continua. Nel 1989 torna in Australia, a Melbourne. Insegna giapponese, si reinventa, accede a una cattedra di La Trobe University, poi alla University of Melbourne. E, in parallelo, si riavvicina alla cultura italiana: dirige il concorso di poesia della Dante Alighieri Society, partecipa all’Australian Calabrian Cultural Association e scrive un libro sulla Calabria.

Non un libro nostalgico, né semplicemente identitario. Un’opera di ricerca, di scoperta, di archeologia personale.

“Pensavo che questa regione fosse solo un posto da cui si fuggiva. Ho scoperto invece una storia ricchissima: la Magna Grecia, i Bizantini, le torri saracene, la comunità ebraica. Anche storie di piccole tradizioni cancellate o dimenticate”.

Ed è lì, tra quelle rovine, che ha capito: non si può raccontare la Calabria senza parlare dell’Italia intera. “La diversità dell’Italia è la sua forza. Ma nessuno sembra capirlo. E questo mi dispiace”.

Teresa vive tra queste stratificazioni. Quando le si chiede cosa rappresenti per lei ciascuno dei suoi mondi – il Giappone, l’Australia, l’Italia – non esita. Il Giappone è l’enigma, la sfida, ma anche uno specchio su se stessa. “Mi ha permesso di conoscermi meglio. Di capire il rispetto per le tradizioni e la cura nei dettagli”.

L’Australia? È il luogo della tensione dove ha dovuto lottare per sentirsi “normale”, dove da bambina era presa in giro.  Eppure, oggi afferma: “Mi sono sentita australiana solo dopo essere tornata dall’Inghilterra. Più forte, più consapevole”.

E l’Italia? “La mia più grande scoperta. Quando sono andata in vacanza in Calabria, guardando mia nipote che correva avanti e indietro per farmi sentire accolta, ho capito che io sono proprio così.  Movimento, curiosità e accoglienza. E che mi sento a casa, ovunque”.