A Stefano Panzeri sono bastati una sedia di legno e un fazzoletto di stoffa a trasportare il pubblico presente in sala martedì scorso al Co.As.It. nell’Italia del Primo dopoguerra, seguendo le vicende di Vincenzo Rabito, il bracciante siciliano sballottato da un capo all’altro dello Stivale, ma anche in Africa e in Germania a cercar lavoro.
Terra Matta 2 (1918-1943): ‘Chi vuole bire acqua più polita alla testa della fontana deve antare’, mette in scena la seconda parte della vita di Rabito, così come lui l’ha raccontata nel suo incredibile manoscritto autobiografico Terra matta.
In un monologo incalzante, la sorprendente gamma vocale di Panzeri portava davanti agli spettatori incantati innanzitutto la vitalità straordinaria dello stesso Rabito, ma anche quella di alcune persone che intersecano il suo cammino.
Tra queste una giovane triestina in viaggio sulla nave verso l’Australia, la cui storia non proviene in realtà dalla penna di Rabito, ma da quella di una spettatrice. Così, il recupero di una memoria perduta prende vita alimentandosi della corrente inarrestabile di quel fiume in piena che è la narrazione di Rabito.
Come spiega lo stesso Panzeri, “l’opera di Rabito è anche un rito di passaggio, un passaggio di consegne per i figli e in quanto tale va al di là della Sicilia, diventa opera universale in quanto umana”. “Ho pensato di far fare a chi vedeva il mio spettacolo all’estero lo stesso passaggio che ha fatto Rabito, immaginando che in quelle persone che hanno tagliato i ponti con il passato ci fosse una necessità di fare il punto sulla propria vita. È stato come immaginavo e ho pensato che l’unico contenitore che potesse restituire quelle storie era Terra Matta.” Alla fine dello spettacolo, l’attore ha rinnovato l’invito agli spettatori - e noi lo rivolgiamo ai nostri lettori - di condividere con lui alcuni ricordi di migrazione. E magari, chissà, qualcuno potrà riconoscere la propria storia in Terra Matta 3. Per scrivere a Stefano Panzeri l’indirizzo è stefanopanzeri0@gmail.com.