“Sono soddisfatto che finalmente sia stata portata a conoscenza di un pubblico vasto la mia attività di regista di cinema. le diverse  mostre organizzate hanno fatto vedere il mio modo di guardare la realtà in tutte le sue manifestazioni”. Chissà come sarebbe stata diversa la vita di Tinto Brass se non fosse nato in Italia, culla del cristianesimo e sede del Vaticano. Ma il maestro dell’erotismo d’autore, 90 anni appena compiuti, è un combattente nato: “Ho passato quasi più tempo nei tribunali che dietro la macchina da presa - ha detto Tinto - ventisei film su ventisette censurati, tutti tranne ‘La vacanza’ del 1971, premio della giuria al Lido”.

Il fatto è che Brass, nato a Milano nel 1933 ma veneziano d’adozione, l’erotismo se l’è potuto permettere per cultura e background.
Dopo la laurea in giurisprudenza, negli anni ‘50 va a Parigi dove lavora come archivista alla Cinematheque Française ed è aiuto regista di Alberto Cavalcanti e di Joris Ivens. Al ritorno in Italia la sua formazione si completa nel 1959 come aiuto di Roberto Rossellini sia per “India” che per “Il generale Della Rovere”.

Il regista, costretto su una sedia a rotelle dopo l’ictus che lo ha colpito nel 2010, raccontato come i suoi provini siano stati fatti sempre nel segno della più squisita semplicità: “Ho sempre fatto spogliare le attrici completamente nude facendo recitare loro qualche battuta inventata sul momento. Tutte accettavano e io ero capace di capire subito quello che avrebbero fatto sul set già da come si muovevano durante il provino. Una volta arrivò Aldo Busi vestito da donna, gli ho fatto il provino, perché non sospettavo nulla. Poi, quando me ne sono accorto, mi sono messo a ridere e l’ho mandato via”. 

Nel cinema ci sono due Brass registi: quello fino a “Salon Kitty” e quello dopo “Caligola”. Il primo è quello cresciuto alla scuola del documentarista olandese Joris Ivens e del cinema realista della Nouvelle Vague francese, amato e apprezzato dalla critica italiana come autore ideologico e polemico verso la società e la politica degli anni ‘60 e ‘70. È il Tinto Brass che fa il debutto nel cinema nel 1963 con il lungometraggio “In capo al mondo”, apologo sul disagio giovanile, di cui cura anche la sceneggiatura e il montaggio, il cui titolo viene cambiato in “Chi lavora è perduto”. 

Dopo quel film, Brass esprime un cinema intimo e originale, “Col cuore in gola” (1967), “L’urlo” (1968), “Nerosubianco” (1969), “Dropout” (1970), “La vacanza” (1971). Poi c’è un altro Brass, quello universalmente noto come il “re dell’eros”, un regista che ha portato il piacere del sesso nel cinema d’autore, abusando spesso della sua fama e bravura per girare pellicole decisamente esplicite e spesso di livello artistico modesto. Questo “secondo” Brass è quello che, con buona pace dei critici che non l’hanno mai perdonato per aver “tradito” il cinema cosiddetto “alto” per un genere che spesso rasenta il porno-soft, resta nella memoria collettiva. E nella storia del cinema. 

Tutto cominciò all’inizio degli anni ‘70 quando il regista, amato dai critici ma non soddisfatto dei risultati dei suoi film cerca una nuova forma espressiva e uno stile che possa definirlo. E così nel 1975 gira “Salon Kitty”, un film che risente delle atmosfere dei film di Luchino Visconti e di “Portiere di notte” di Liliana Cavani, in cui analizza il rapporto tra sesso e potere. Un film in cui emette i primi vagiti il Brass erotico, in cui le scene di sesso che iniziano a essere esplicite sono comunque inserite nel contesto e del tutto funzionali alla storia. Con questo film Brass scopre il piacere di turbare il pubblico (Quentin Tarantino ha definito le scene iniziali del film come la cosa più strana mai vista al cinema, affermando che le immagini in cui viene ucciso un maiale rendono lo schermo ributtante agli occhi dello spettatore) ma anche quello di eccitarlo.

E così nel 1979 si dedica alla sua opera più controversa e sfortunata: “Caligola”. Il film ebbe una produzione molto travagliata a causa dei contrasti tra il regista e la produzione Usa che portarono all’estromissione di Brass dal montaggio. Oggi del film esistono sette versioni e alcune, particolarmente violente e spinte, sono difficili da rintracciare. Il regista disse che il film uscito in Italia col titolo “Io, Caligola” era in qualche modo vicino a quello che voleva fare e aveva girato, mentre quello negli Usa era “una vera porcata”. Questo film, comunque, segna il punto netto di svolta per Brass. Da quel momento inizia la marcia che rapidamente lo porterà alla consacrazione come “re dell’eros” e a fare del suo cinema un unicum nel panorama mondiale.

Dopo “Action” del 1980, una beffarda e autobiografica riflessione sul rapporto che lega arte e pornografia, realizza il suo capolavoro: nel 1983 gira “La chiave” con Stefania Sandrelli, tratto dal romanzo omonimo dello scrittore giapponese Junichiro Tanizak. Questa pellicola, che ebbe un buon successo di pubblico e di critica, fa entrare Brass nell’olimpo di questo genere erotico, attirandogli però anche le ire di alcune femministe che gli rimproveravano una certa considerazione della donna come oggetto, oltre quelle della classe sociale più tradizionalista e quella cattolica. Critiche destinate a rinnovarsi negli anni alimentate dai suoi film e dalle sue provocazioni che gli hanno anche provocato molti problemi di carattere giudiziario. 

E così, dopo “La chiave”, escono puntualmente accompagnati da un alone di scandalo (e dalla censura) “Miranda” nel 1985 con Serena Grandi, rivisitazione de “La locandiera” di Goldoni, e “Capriccio’”nel 1987 con Francesca Dellera. Nel 1988 Brass si prende una pausa dal genere erotico: dirige “Snack Bar Budapest” , un noir visionario che ottiene buone critiche, ma scarso riscontro commerciale. E’ l’ultima volta che Brass cede (forse) alle pressioni dei critici e decide che il suo cinema sarà esclusivamente quello erotico. E così realizza i suoi film più espliciti e goderecci: dopo “Paprika” (1991), che lancia Debora Caprioglio, e “Così fan tutte” (1992) con l’esordiente Claudia Koll, arrivano altre pellicole che sono sempre accompagnate da scandalo e scalpore anche se di livello artistico modesto: “L’uomo che guarda” (1994), “Fermo posta Tinto Brass” (1995), “Monella” (1998), “Tra(sgre)dire” (2000), “Senso ‘45’”(2002), “Fallo!” (2003) e “Monamour” (2005). L’ultimo lavoro di Brass è del 2009: in occasione di una retrospettiva a lui dedicata, porta alla Mostra del Cinema di Venezia il cortometraggio di 18’ “Hotel Courbet” con l’attrice Caterina Varzi, che sposerà nel 2017 in seconde nozze (la prima moglie, Carla Cipriani, è morta nel 2006; con lei Brass ha avuto due figli, Beatrice e Bonifacio). 

Pochi sanno che Giovanni Brass detto Tinto (il nonno pittore Italico Brass gli diede il nomignolo affettuoso di Tinto dal nome del pittore veneziano Tintoretto), nato a Milano il 26 marzo 1933 in una famiglia benestante e colta, capace di gestire la sua immagine, sigaro sempre in bocca e battuta pronta con la sua voce rauca, è stato molto amico di Federico Fellini, anche lui amante dell’erotismo, ma più popolare e mai portato oltre certi limiti.  Nel rendergli omaggio per i 90 anni, il Centro Sperimentale di Cinematografia ha acquisito l’archivio personale del regista, che comprende le copie in pellicole dei suoi film e 250 faldoni e scatole tra soggetti, trattamenti, proposte di film, contratti, diari di lavorazione, corrispondenza, rassegne stampa, bozzetti di scenografia, materiali per film non finiti o non realizzati: una miniera di documenti che attraversa 60 anni di storia del cinema italiano. Nel 2019, quando è stato ricoverato per un malore, il regista ha dichiarato: “Nel caso io non sia più in grado di badare a me stesso, Caterina sceglierà per me la cosa giusta. Le consegno la chiave della mia vita, sicuro che la girerà al momento giusto”.