LIVORNO - Procura livornese e investigatori spaccati sull’interpretazione di presunti gravi abusi denunciati da detenuti nel carcere di Porto Azzurro all’isola d’Elba. Da una parte c’è un’informativa di 130 pagine del Nucleo Investigativo dei carabinieri di Livorno e del Nucleo Investigativo della polizia penitenziaria di Roma che, sulla base dei racconti “talora convergenti” di diversi reclusi, racconta di “violenze sfociate nella maggior parte dei casi in veri e propri atti di tortura” sui reclusi da parte di una “squadretta” di agenti. Dall’altra la valutazione dei pm Sabrina Carmazzi e Massimo Mannucci che chiedono l’archiviazione perché ritengono che “gli elementi acquisiti non appaiono consentire una ragionevole previsione di condanna” per gli indagati. Nei giorni scorsi si sarebbe dovuta svolgere un’udienza davanti al gip per decidere se far calare il sipario oppure riaprire la vicenda, come chiedono l’avvocato di una delle presunte vittime degli abusi e il Garante Nazionale dei Detenuti. L’appuntamento in aula è stato però rinviato per un legittimo impedimento al 15 dicembre.
Tra i reati ipotizzati per gli agenti, a vario titolo, ci sono quelli di tortura, stato di incapacità procurato mediante violenza, omessa denuncia di reato da parte di pubblico ufficiale, depistaggio e per i reclusi danneggiamento causato da incendio e resistenza a pubblico ufficiale. Nell’informativa si ipotizza che la “politica perseguita a tutti costi dal direttore della casa di reclusione sarebbe stata quella di tollerare trattamenti penitenziari non conformi a umanità e dignità” per “tutelare l’immagine dell’isola” nelle attività del carcere anche allo scopo di ottenere fondi europei e ministeriali per un progetto a Pianosa, distaccamento del carcere di Porto Azzurro, finalizzato al reinserimento dei detenuti. “Le attività esperite nei riguardi degli indagati - scrive chi ha condotto gli accertamenti - hanno permesso di cristallizzare le direttrici investigative concorrenti alla vicenda delle torture”.
L’inchiesta comincia da una serie di esposti presentati nel 2019 dal detenuto B.F. che riferisce “di essere stato denudato, ammanettato e picchiato da alcuni agenti come forma di rappresaglia dopo che aveva fatto ricorso per denunciare altre angherie”.
Questa pista investigativa “si è andata maggiormente delineando con l’attività istruttoria fatta da questo Comando” fino a “disvelare l’esistenza di altri detenuti che avevano subito violenze nel carcere di Porto Azzurro e che avevano potuto denunciare i fatti solamente all’indomani del loro trasferimento in altri istituti o rivolgendosi a organi di polizia esterni al carcere”. Non sempre, viene precisato, “il ricordo di alcuni collima con la denuncia dei diretti interessati”. Alcuni raccontano di una “squadretta” agli ordini dell’ispettore Pietro Duca che avrebbe pestato i reclusi nella “galleria”.