È Acerenza, splendido borgo lucano arroccato su una collina in provincia di Potenza, il grande protagonista del film From the Vine, da oggi nelle sale cinematografiche australiane, reduce da una programmazione di successo in Nuova Zelanda, dove è entrato nella top ten del botteghino.
Realizzato grazie al finanziamento del governo canadese, della Regione Basilicata e della Lucana Film Commission, la pellicola è tratta dal romanzo autobiografico In cerca di Marco, dell’italo-canadese Kenneth Canio Cancellara, emigrato da Acerenza da bambino. Avvocato di successo e dirigente d’azienda, Cancellara non era mai riuscito a sopprimere completamente la struggente nostalgia per i luoghi dell’infanzia e i riti antichi tramandati dal nonno tra i vigneti di Aglianico del Vulture.
La sua storia travagliata di ritorno alle radici è affidata alla sapiente interpretazione di Joe Pantoliano, conosciuto per i suoi ruoli in pellicole celebri come Risky Business, Memento, The Matrix, ma anche per la sua interpretazione di Ralph Cifaretto nella serie tv The Sopranos, che gli è valsa un Emmy Award.
Nel cast del film, diretto dall’italo-canadese Sean Cisterna, spicca un ricco parterre di attori italiani e internazionali, come Marco Leonardi (volto noto delle fiction battezzato sul grande schermo come il Totò adolescente di Nuovo Cinema Paradiso) e le interpreti canadesi Wendy Crewson e Paula Brancati.
“I miei nonni erano originari di Avellino, che dista meno di un’ora da Acerenza – ha raccontato al nostro giornale l’attore italo-americano Joe Pantoliano -. È stato molto struggente anche per me tornare nei luoghi da dove i miei avi erano partiti in cerca di una vita migliore. I miei genitori erano nati entrambi negli Stati Uniti, ma parlavano bene l’italiano: lo usavano contro di noi figli per nascondere l’argomento delle loro conversazioni o dei loro battibecchi.”
Cresciuto a Hoboken, nel New Jersey, Pantoliano voleva seguire sin da bambino le orme dei suoi più famosi concittadini, italo-americani come lui, Frank Sinatra e Jimmy Roselli. “C’era il sogno di essere immortale. Pensavo che se fossi apparso nella televisione in bianco e nero di mia mamma, sarebbe rimasta per sempre una traccia della mia esistenza. Mio padre avrebbe preferito che facessi l’esame per diventare vigile del fuoco”.
Poi nei primi anni ’70, quando Pantoliano cominciava a muovere i primi passi da attore, uscì sugli schermi Il padrino. “Fu un successo travolgente e un momento fondamentale per gli italo-americani, che si videro finalmente rappresentati sul grande schermo, dopo un lungo periodo in cui dominavano attori tipici anglosassoni, biondi con gli occhi azzurri, come Paul Newman e Robert Redford. D’altronde siamo una nazione di immigrati e questo si riflette nel cinema. Ai suoi albori, cent’anni fa, le star del cimema muto erano i Barrymore, discendenti dei primi coloni britannici, poi sono arrivati gli irlandesi, con James Cagney, Pat O’Brien, Spencer Tracy, poi gli italiani come Dean Martin, Frank Sinatra e gli ebrei con Paul Muni, e ora è la volta dei latino-americani. Quando ho cominciato ero considerato troppo etnico, ora non sono etnico abbastanza!”, scherza Pantoliano, detto “Joey Pants”.

Una veduta dall’alto del borgo lucano
Per immedesimarsi nel ruolo di Marco, il protagonista di From the Vine, colto in un momento di crisi interiore nonostante i successi apparenti dall’esterno, Pantoliano ha attinto alle sue personali insoddisfazioni nella ricerca della felicità. “Negli Stati Uniti la gente non ha più timore di Dio, ha timore di fallire e non riesce a provare gioia per i propri successi. Questo vale per Marco, che nella rincorsa al successo ha perso di vista gli affetti, e vale anche per me. Pensavo che se avessi realizzato i miei sogni di carriera nel cinema avrei risolto i miei problemi di autostima, ma non è stato così. Anzi, avevo un’opinione talmente bassa di me stesso che provavo disprezzo anche per le persone che mi amavano”.
Dopo i moltissimi ruoli in film dai toni cupi e violenti, Pantoliano ha accettato con molto entusiasmo di partecipare in una piccola produzione che infonde un grande messaggio di speranza. “Voglio interpretare personaggi di cui i miei figli e i miei nipoti possano sentirsi fieri. Adesso più che mai le persone hanno bisogno di film come questi e non di pellicole distopiche, che sono putroppo diventate realtà”.