TORINO - La clinica privata torinese Maria Pia Hospital è considerata un polo d’eccellenza in città. Qui è accaduto il dramma di Carla Raparelli, 71enne morta per una trasfusione di sangue sbagliata la sera del 9 marzo 2023. La Procura del capoluogo regionale piemontese ha chiesto il rinvio a giudizio per un medico e un infermiere della clinica: sarebbero loro i responsabili di quell’intervento che, secondo gli inquirenti, si è rivelato fatale per la paziente. Alla signora sarebbe stato iniettato del sangue destinato a un altro paziente, un uomo, ricoverato in un’altra stanza. Nel giro di un quarto d’ora nella donna si è scatenata una gravissima reazione immunitaria che ne ha causato la morte.

A denunciare i due è stata un’anestesista che si è rifiutata fino all’ultimo di modificare la realtà che aveva visto e ciò che aveva annotato nella cartella clinica. La dottoressa, intervenuta quando era ormai troppo tardi, aveva notato che aveva l’ago infilato nel braccio e una flebo che le infondeva goccia a goccia una sacca di sangue. Oltretutto, la signora Raparelli quel giorno non aveva bisogno di alcuna trasfusione; era entrata nella clinica il 23 febbraio per sostituire delle valvole, otto anni dopo una precedente operazione cardiaca. L’intervento era riuscito e stava affrontando gli ultimi giorni di ricovero. 

L’indagine della Procura è durata un anno: l’infermiere e il medico ora devono rispondere di omicidio colposo e falso ideologico in atto pubblico. Quella sera non sarebbe stata rispettata la rigorosa procedura di verifica prevista dalle linee guida ministeriali: il controllo di compatibilità trasfusionale. L’inchiesta ha accertato che l’infermiere, 54 anni, di origine romena, alle 21.15 avrebbe applicato alla paziente la sacca di sangue destinata a un uomo che aspettava di ricevere la sua seconda trasfusione, dopo una prima infusione iniziata alle 19.30. Il protocollo di sicurezza, che è nazionale, stabilisce che siano un medico e un infermiere a verificare la corrispondenza, tra sacca e paziente, e la compatibilità del gruppo sanguigno, oltre alla verifica dell’identità.

Dall’analisi dei documenti sanitari è emerso che le firme sui moduli erano state apposte probabilmente in anticipo senza reale verifica di compatibilità tra paziente e sangue che deve avvenire di fronte al paziente e rimanendo presenti per verificare che non insorgano problemi. 

Il processo di emotrasfusione, che deve necessariamente partire con un consenso informato da parte del paziente, prevede fasi durante le quali medico e infermiere operano in concertazione: la firma del paziente sul consenso informato; il prelievo del campione di sangue per l’esecuzione dei test pre-trasfusionali (l’infermiere responsabile del prelievo deve apporre, accanto a tutti i dati del paziente e all’orario di avvenuto prelievo, la propria firma), la richiesta degli emocomponenti, l’accettazione, registrazione ed esecuzione dei test ed erogazione emocomponenti da parte della struttura trasfusionale e infine un doppio controllo (infermiere responsabile e medico) di corrispondenza dati identificativi.