WASHINGTON – L’apertura di Donald Trump ha attraversato l’Atlantico. I dazi al 30% restano sul tavolo, “ma stiamo discutendo [perché] adesso l’Europa ci sta trattando bene”. Un refrain già sfoderato pochi giorni prima di agitare le tariffe punitive. Poi, la previsione distensiva: “Credo che andrà bene”.
A soli quattro giorni dalla lettera recapitata all’esecutivo di von der Leyen, i canali si sono di nuovo aperti. Gli emissari Ue sono volati oltreoceano con proposte su tutti i fronti: dal compromesso minimo al 10% – rilanciato anche da Roma – agli sconti settoriali, fino al tormentato dossier Airbus-Boeing.Segnali di una volontà politica che l’Unione europea continua a rivendicare, puntando a trovare l’intesa entro il primo agosto. Il conto alla rovescia però prosegue e, davanti allo spettro del no deal, i primi contro-dazi da 21 miliardi di euro – con aliquote tra il 10 e il 25% per rispondere alle tariffe americane su acciaio e alluminio – scatteranno il 6 agosto.
Accanto, la seconda ondata da 72 miliardi è sul tavolo dei Ventisette, pronta a colpire industria e agroalimentare Usa. Tanto che, da Berlino, persino il prudente Friedrich Merz ha lanciato un monito alla Casa Bianca a “non sottovalutare” la risposta continentale “a dazi eccessivi” con “misure analoghe”.
La difficoltà del negoziato è ormai evidente ai governi continentali, sintetizzata dalla linea del Cancelliere tedesco che si è detto consapevole che chiudere “non sarà facile”. E neppure l’assicurazione, a suo modo conciliante, del presidente americano sul dialogo in corso con l’Ue o l’accordo lampo con l’Indonesia basta a delineare un disegno coerente.
Agli occhi di Palazzo Berlaymont, il tycoon resta un’incognita. Di fronte alle pressioni dell’ala degli intransigenti – guidati da Parigi che, per bocca del ministro Jean-Noel Barrot, ha ribadito che che l’Europa “non può essere vassalla” degli Stati Uniti, bollando come “un ricatto” l’aliquota al 30% –, a Bruxelles prevale la cautela, ritenuta indispensabile il negoziato.
“Non è nostra intenzione attivare alcuna contromisura prima del primo agosto”, è la linea dell’Ue. Sul tavolo dei governi ora è planata in via ufficiale la lista formale lunga 200 pagine della seconda tranche di contro-dazi: snellita rispetto ai 95 miliardi ipotizzati inizialmente, ma ancora carica di simboli come carni bovine e suine, suv, pick-up, componenti legati a Boeing (su pressione di Parigi) e l’iconico bourbon del Kentucky, nonostante i timori di Italia, Francia e Irlanda su possibili rappresaglie americane nei confronti delle eccellenze agroalimentari continentali.
In tutto, 158 le voci in meno rispetto all’iniziale lista, con un taglio mirato che risparmia computer, motori, microscopi e strumenti di precisione Usa. Restano fuori dal mirino anche i farmaci, i semiconduttori e le materie prime critiche – come rame e legname – ancora immuni dai dazi di Washington. E un’ulteriore esclusione riguarda i prodotti a uso militare, che Bruxelles ha volutamente lasciato al di fuori del perimetro tariffario anche alla luce delle concessioni messe sul tavolo sul fronte degli acquisti di armi a stelle e strisce.
Drastico poi il ridimensionamento delle restrizioni all’export europeo oltreoceano: da 4,4 miliardi a poco più di 94 milioni. I tecnici Ue sono sbarcati a Washington con il biglietto di ritorno aperto, pronti a restare il tempo necessario. In valigia, anche lo spinoso contenzioso Airbus-Boeing: ridurre i dazi è l’obiettivo comune, ma sulle modalità le distanze restano ampie. Bruxelles punta a rilanciare un quadro sul modello del 1992, con regole multilaterali e paletti agli aiuti pubblici.
Washington, invece, preferisce un’intesa bilaterale, più flessibile e lontana dai vincoli condivisi con altri Paesi e con l’odiato Wto.