CATANIA - È cominciato, davanti alla Corte d’assise d’appello di Catania, il processo di secondo grado a Martina Patti, la ventiseienne che il 12 luglio del 2024 è stata condannata a 30 anni per l’omicidio della figlia Elena, di quasi 5 anni, uccisa con un’arma da taglio nel giugno 2022 e seppellita in un campo vicino casa, a Mascalucia. 

I suoi legali, gli avvocati Tommaso Tamburino e Gabriele Celesti, hanno annunciato che la donna, collegata in video conferenza, vorrebbe fare delle dichiarazioni spontanee, e la Corte ha disposto il suo trasferimento in aula per la prossima udienza, fissata per il 14 maggio.  

I nonni paterni e il padre della piccola vittima si sono costituti parte civile con l’avvocato Barbara Ronsivalle. 

Martina Patti è imputata per omicidio premeditato aggravato, occultamento di cadavere e simulazione di reato. Il processo è stato incardinato su indagini dei carabinieri del comando provinciale di Catania. 

La donna avrebbe ucciso la piccola nel luogo del ritrovamento, un campo abbandonato vicino casa, e poi avrebbe finto il sequestro della bambina all’uscita dall’asilo. Pressata dagli inquirenti, pochi giorni dopo il presunto rapimento, la donna ha confessato il delitto ma non ne ha spiegato il movente. 

La sera prima di essere uccisa, la bambina aveva dormito dai nonni e la mattina dopo la zia l’ha accompagnata all’asilo, dove la madre è andata a riprenderla per poi ritornare a casa, a Mascalucia. 

Successivamente, contesta l’accusa, Martina Patti è uscita nuovamente con l’auto per creare un diversivo, quindi è ritornata nell’abitazione. È in quel lasso di tempo che sarebbe stato commesso il delitto, in un terreno abbandonato dove la madre ha seppellito il piccolo corpo, nascosto in cinque sacchi di plastica nera e parzialmente sotterrato con una pala e un piccone. 

A quel punto, la ventiseienne ha fatto scattare la messa in scena avvisando per telefono del falso sequestro i genitori e il padre di Elena, il suo ex compagno Alessandro Del Pozzo. Quindi, è tornata a casa e dopo, accompagnata dalla madre e dal padre, è andata dai carabinieri a denunciare il falso rapimento.  

Ai militari dell’Arma ha associato il sequestro ad alcune minacce che nel 2021 l’ex convivente aveva trovato davanti al cancello di casa, ma la sua versione non ha retto ai riscontri, alle indagini dei carabinieri e alle contestazioni mosse dalla Procura di Catania.