BRUXELLES - Il Consiglio Europeo che si aprirà domani, giovedì 18 dicembre, a Bruxelles, si preannuncia come uno dei più complessi degli ultimi anni. Al centro del summit c’è il via libera al cosiddetto “prestito di riparazione” per l’Ucraina: un piano di finanziamento biennale garantito dai rendimenti dei 210 miliardi di euro appartenenti alla Banca Centrale russa e attualmente congelati nelle istituzioni finanziarie europee. 

Di questi asset, ben 185 miliardi sono custoditi da Euroclear, il colosso belga della compensazione che rappresenta uno snodo nevralgico del sistema finanziario globale. Proprio qui risiede il cuore del problema politico e tecnico. 

Sebbene la Commissione spinga per una soluzione rapida, il fronte dei dubbiosi è ampio e variegato. In Belgio, il paese più esposto, il premier Bart De Wever, pur negando di voler agire “come l’Ungheria”, teme ripercussioni legali senza precedenti e ha ventilato ricorsi contro quella che definisce una potenziale “confisca” ai danni di una società privata (Euroclear). 

Segue l’asse dei “cauti” (Italia, Bulgaria, Malta), che pur avendo votato a favore del congelamento semi-perenne degli asset russi, hanno allegato una dichiarazione per chiedere opzioni meno rischiose. Al fronte dei dubbiosi si è recentemente annessa la Repubblica Ceca: il neopremier miliardario Andrej Babis, infatti, ha già chiarito che Praga non intende fornire garanzie finanziarie per un’operazione che giudica troppo simile a un esproprio.  

Infine, nel fronte c’è anche la Germania di Merz. Il Cancelliere si trova nella posizione di dover fare i conti con l’ascesa dell’AfD nei sondaggi: spiegare all’elettorato tedesco la necessità di fare nuovo debito comune per Kiev è politicamente esplosivo, motivo per cui l’opzione “Eurobond per la difesa” è stata ufficialmente accantonata. 

Un problema non piccolo è che il prestito Ue all’Ucraina sarebbe costituito da titoli infruttiferi, che non producono interessi. Una caratteristica, questa, voluta dalla Germania perché, se i bond pagassero cedole, somiglierebbero molto agli Eurobond, che fanno inorridire Berlino. Il problema è che, se qualcosa dovesse andare storto, Euroclear non potrebbe usare quei titoli per chiedere liquidità alla Bce. In questo frangente, uno “worst-case scenario” improbabile ma che non si può escludere a priori, Euroclear rischierebbe di andare in bancarotta. Evento che sarebbe catastrofico. 

Tuttavia, la Commissione è convinta di aver ridotto i rischi al minimo. E la decisione sul prestito cosiddetto di riparazione resta “il principale punto del Consiglio Europeo”, sul quale i leader sono chiamati a prendere “una decisione”, spiega l’alto funzionario. Il presidente Costa “ritiene indispensabile” che una decisione venga presa questa settimana, “anche se i leader dovranno trattenersi un po’ più a lungo del solito” nell’Europa Building. Contrariamente alla gestione di Charles Michel, sotto il quale summit interminabili erano la regola, sotto Costa sono rientrati in tempistiche meno abnormi, solitamente ridotti ad un giorno solo, ma questa volta sarà molto difficile comprimere i lavori in una sola giornata. 

Il Presidente del Consiglio Europeo, Antonio Costa, punta all’unanimità ma è consapevole che un accordo “a 27” è ormai impossibile a causa del veto di Viktor Orban. L’obiettivo è un consenso “a 26”, ma la strada è in salita. Costa ha già ventilato la possibilità di trattenere i leader a Bruxelles fino a sabato 20 dicembre. Un summit di tre giorni e tre notti non si vedeva dal luglio 2020, quando fu varato il Next Generation Eu. 

Mentre i leader discutono di miliardi, fuori dai palazzi di Bruxelles è attesa la protesta degli agricoltori. Il malcontento è alimentato da tre fattori: i tagli previsti nel prossimo bilancio Ue (MFF 2028-34); l’accordo commerciale Ue-Mercosur, che la Francia chiede di rinviare per proteggere i propri produttori; e l’incertezza sulla nuova postura protezionistica degli Stati Uniti di Donald Trump. 

Oltre al dossier ucraino, l’agenda di Bruxelles resta densa di questioni strutturali. Il primo grande tema è quello dell’allargamento: con il Montenegro ormai in pole position dopo aver chiuso con successo 12 capitoli negoziali su 33, l’Ue si trova di fronte alla necessità storica di definire i criteri per l’ingresso di nuovi membri, un processo diventato prioritario per riempire il vuoto geopolitico lasciato dal Regno Unito. 

Parallelamente, si preannuncia una battaglia diplomatica sul fronte interno per la riforma del bilancio. L’Italia, con il forte appoggio del commissario Serafin, guida il fronte dei Paesi decisi a eliminare definitivamente i cosiddetti “rebates”, ovvero gli sconti sui contributi nazionali di cui beneficiano alcuni Stati membri. Per Roma, questi privilegi sono ormai anacronistici e creano una disparità ingiusta a danno dei contribuenti netti, rendendo necessaria una semplificazione che rispecchi le sfide economiche attuali. 

Il vertice inizierà domani alle 10:00 con l’intervento di Roberta Metsola e un collegamento con Volodymyr Zelensky. Le fonti europee sono chiare: il summit durerà “per tutto il tempo necessario”.