ROMA - L’Italia non intende mandare soldati sul suolo ucraino. Se c’è un punto fermo all’interno del governo, mentre il percorso negoziale verso un cessate il fuoco in Ucraina resta accidentato, è proprio questo.  

Dopo l’intervento al Meeting di Rimini, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha riunito a Palazzo Chigi i suoi vice – il ministro degli Esteri Antonio Tajani e quello delle Infrastrutture Matteo Salvini – insieme al ministro della Difesa Guido Crosetto, per fare il punto sul conflitto russo-ucraino, a seguito dei recenti colloqui alla Casa Bianca.  

È stata l’occasione per compattare la posizione dell’esecutivo dopo i distinguo sull’ipotesi di impiegare esercito, marina e aeronautica in operazioni di sminamento in caso di tregua tra Kiev e Mosca: da una parte il leader di Fi Tajani, favorevole, dall’altra il segretario leghista Salvini, che non ha nascosto i suoi dubbi. 

Nel comunicato diffuso da Palazzo Chigi dopo il vertice, non c’è alcun riferimento a questo scenario: l’accento è posto sulle “robuste e credibili garanzie di sicurezza per l’Ucraina” come “chiave di volta” del percorso verso la pace, “da elaborare insieme agli Stati Uniti e ai partner europei e occidentali”.  

La posizione del governo ruota attorno alla proposta di un meccanismo difensivo di sicurezza collettiva ispirato all’articolo 5 della Nato: questo è il contributo che l’Italia porta sul tavolo delle trattative, ricorda la nota della Presidenza del Consiglio.  

Palazzo Chigi ribadisce inoltre “come non sia prevista alcuna partecipazione italiana a un’eventuale forza multinazionale da impegnare in territorio ucraino”. Su altre forme di contributo, però, sono in corso valutazioni, e il governo sta sondando l’ipotesi di attività di monitoraggio e formazione al di fuori dei confini ucraini, ma solo una volta raggiunta la cessazione delle ostilità. 

Sulla questione degli sminatori, fonti di governo precisano che “siamo ancora in una fase embrionale” e che la proposta viene portata sul tavolo soprattutto per rispondere agli alleati americani, che chiedono agli europei un contributo concreto. Il timore, però, è che i tempi per arrivare a un cessate il fuoco si allunghino, dopo gli iniziali spiragli di un possibile incontro tra Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky.  

Lo dimostra l’offensiva russa della notte, un gesto condannato in prima persona dalla premier Meloni, che su X ha scritto che gli “intensi attacchi” su Kiev dimostrano chi vuole davvero la pace e chi non intende credere nel percorso negoziale, esprimendo solidarietà al popolo ucraino. 

Al termine del Cdm – che, tra le altre cose, ha varato la riforma della Farnesina e nominato Stefano Beltrame nuovo ambasciatore a Mosca – è Tajani a ribadire in conferenza stampa le linee guida del governo: “Non invieremo militari italiani sul terreno” e “nessuno di noi ha mai parlato di truppe italiane in Ucraina”.  

Concetti che servono anche a tranquillizzare Salvini, reduce da una dura polemica con l’Eliseo parigino sulla prospettiva di inviare uomini in Ucraina. Tajani ha aggiunto di non essere ottimista: “Non credo che prima della fine dell’anno possano esserci soluzioni” alla guerra, e non ha escluso nuove sanzioni contro Mosca. 

Per quanto riguarda l’ipotesi sminatori, il ministro ha chiarito che, se lo scenario dovesse concretizzarsi, non si tratterebbe di un’operazione militare, ma umanitaria. L’Italia, ha spiegato, ha tecnologia ed esperienza sia nel settore privato sia in quello militare per condurre operazioni di sminamento e sarebbe disposta a metterle a disposizione “se ci fosse richiesta”.  

Si tratterebbe, ha ribadito, di un’operazione umanitaria che non ha nulla a che vedere con la presenza militare sul campo, “come la intendono alcuni nella coalizione dei volenterosi”. 

In serata anche Salvini è tornato a intervenire, in collegamento con La Piazza di Affari Italiani a Ceglie Messapica (Brindisi). Ha ribadito che “tutto il governo italiano” è contrario all’invio di soldati in Ucraina, affermando che non cambierà mai idea su questo punto e di pensarla “come il Santo Padre”.  

E a Tajani, che al Meeting di Rimini aveva sottolineato come la titolarità della politica estera spetti a lui e a Meloni, ha replicato che “quando si parla di pace e guerra non c’è titolarità”.