TEL AVIV – Il pressing di Joe Biden per cercare di contenere l’alleato Benjamin “Bibi” Netanyahu segna un nuovo capitolo nella lettera che il segretario di Stato Antony Blinken e il segretario alla Difesa Lloyd Austin hanno inviato al ministro per gli Affari strategici israeliano Ron Dermer.   Nella missiva, in sostanza, affermano che Israele ha un mese di tempo per migliorare significativamente la situazione umanitaria a Gaza. Diversamente, rischia di non ricevere più armi dagli Stati Uniti.

I toni, secondo Times of Israel che pubblica l’originale, sono naturalmente diplomatici e formali, ma il senso è quello dell’ultimatum: gli Stati Uniti mantengono il loro sostegno incrollabile; Israele onori i suoi impegni.

Le richieste di Blinken e Austin si concentrano su tre punti in particolare: aumentare la fornitura di aiuti umanitari alla Striscia entro l’inizio dell’inverno, facilitare la consegna attraverso la Giordania, porre fine all’isolamento della zona nord dell’enclave.
“Ci sono dei cambiamenti che vogliamo vedere immediatamente [da parte di Israele a Gaza], non entro 30 giorni”, ha puntualizzato in serata il portavoce del dipartimento di Stato americano, Matthew Miller.

“Non abbiamo visto abbastanza impegno nelle ultime settimane; per questo abbiamo deciso di inviare una lettera”, ha aggiunto il funzionario dopo i ripetuti appelli dell’Onu sulla catastrofe umanitaria che si sta consumando nella Striscia e il rogo delle tende degli sfollati seguito al raid contro l’ospedale dei Martiri di Al Aqsa a Deir al Balah.

Intanto però sono arrivati in Israele un team avanzato di militari Usa e componenti per il funzionamento della batteria di difesa aerea Thaad (Terminal High-Altitude Area Defense). Altri militari e munizioni arriveranno nei prossimi giorni, ha fatto sapere il Pentagono.
Il sistema comprende lanciatori, intercettori, apparecchiature radio e radar e richiede 95 soldati per funzionare. Il Thaad è considerato complementare al Patriot, ma può difendere un’area più ampia colpendo bersagli a distanze di 150-200 chilometri.

Un sostegno importante per le difese aeree dell’Idf, che dopo un anno di guerra conta una riduzione dell’arsenale e una “carenza critica” di missili intercettori, secondo il Financial Times, ma anche fonti militari interne.

La decisione di Biden di inviare un sistema di difesa con un centinaio di militari Usa per operarlo, secondo la lettura fornita da alcuni esperti americani, mirerebbe ad allentare le tensioni, frenando sia Gerusalemme sia Teheran da attacchi più ampi e passi militari azzardati.

Netanyahu, da parte sua, ha mostrato però di non gradire le continue fughe di notizie degli ultimi giorni. In particolare, quelle trapelate oltreoceano sulle reali intenzioni di Israele nella scelta degli obiettivi da attaccare in Iran. Così, nel cuore della notte di mercoledì, il Premier ha buttato giù dal letto i funzionari del suo ufficio per rispondere all’edizione del Washington Post appena stampato.

“Ascoltiamo i pensieri del governo americano, ma prenderemo le nostre decisioni finali in base alle esigenze di sicurezza nazionale di Israele”, recita la nota ufficiale, respingendo il titolo del Wp, secondo cui Bibi avrebbe detto a Biden che l’Idf non attaccherà i siti petroliferi o nucleari iraniani.

Nervosismo e dichiarazioni a parte, il governo di Gerusalemme ha dato disposizioni immediate per avere in tempi brevi nuovi sistemi di intercettori di velivoli senza pilota. “La minaccia dei droni ha origine dall’Iran, che li fornisce ai suoi alleati – ha dichiarato il ministro della Difesa, Yoav Gallant –. Dobbiamo produrre rapidamente soluzioni operative”. E il pensiero era sicuramente rivolto all’ultimo attacco di Hezbollah che ha centrato con un drone la base di addestramento della brigata Golani a Binyamina, uccidendo quattro soldati e ferendone altre decine.

Dal Libano ha rincarato il numero due del Partito di Dio, Naim Qassem: “Israele colpisce tutto il Paese e noi colpiremo tutto Israele, al nord, al sud, al centro”, ha avvertito in un discorso televisivo. Mentre il premier libanese Najib Mikati, in un’intervista ad Al Jazeera, ha confermato di aver ricevuto “garanzie americane sulla riduzione del livello dell’escalation israeliana su Beirut e i sobborghi meridionali”.

Sul fronte libanese, così come a Gaza, gli scontri continuano. In numero minore gli attacchi dell’Aeronautica, mentre indiscrezioni dei media hanno riferito che i soldati stanno sminando la zona del Golan da dove, probabilmente, intendono controllare le operazioni di Hezbollah. Nessuna conferma è arrivata dall’Esercito.

Da segnalare, infine, che il presidente del Consiglio italiana, Giorgia Meloni, ha annunciato un’offensiva diplomatica sul Medio Oriente. “È già previsto che io vada in Libano, e il ministro Tajani si sta preparando per andare in Israele e Palestina la settimana prossima”, ha detto Meloni in sede di replica nel dibattito sulle comunicazioni al Senato in vista del Consiglio europeo, rispondendo al senatore di Iv, Enrico Borghi. “Anche con la nostra presenza - ha aggiunto - stiamo facendo tutto quello che è possibile fare”.

Nel suo intervento il presidente del Consiglio ha anche ribadito la condanna espressa domenica nella telefonata con Benjamin Netanyahu dell’atteggiamento dell’Esercito israeliano contro le postazioni Unifil definendole “del tutto ingiustificate” ma aggiungendo che bisogna stare attenti “a non isolare Israele”, articolando con diplomazia l’obiettivo di mediazione che si è posta, anche come presidente del G7.

Una strategia in cui è cruciale la missione in programma venerdì in Libano - forse la prima tappa di un tour che potrebbe includere la Giordania.