FIRENZE - Si stringe il cerchio attorno a chi gestiva il sito sessista Phica.eu, al centro dello scandalo delle foto rubate e poi pubblicate in rete con commenti volgari e insulti. Le indagini hanno portato nel capoluogo regionale toscano dove vive un 45enne su cui ora si stanno concentrando le verifiche. La sua identità è stata rivelata da un quotidiano: si tratterebbe di Vittorio Vitiello, originario di Pompei (Napoli) e titolare dal 2023 di una piccola società. Sarebbe lui dunque, secondo gli accertamenti, l’amministratore del sito. L’imprenditore è già stato ascoltato a Firenze dopo la denuncia presentata dalla sindaca Sara Funaro, finita, assieme ad altre esponenti politiche, sulla piattaforma online con foto corredate da commenti sessisti. 

Un nome, quello di Vitiello, che non sarebbe nuovo agli investigatori. Già in passato pare siano stati effettuati su di lui accertamenti, sempre nell’ambito della diffusione di foto di personaggi pubblici. E per fare il punto sulla situazione si è svolto un vertice in Procura a Roma. Gli investigatori della Polizia postale hanno incontrato per circa due ore il procuratore aggiunto Giuseppe Cascini che, a breve, acquisirà una prima informativa. Poi verrà aperto un fascicolo. Fra i reati che potrebbero essere ipotizzati dai pm capitolini ci sono diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (612 ter.), diffamazione ed estorsione.

Una delle vittime, infatti, ha dichiarato nei giorni scorsi a un quotidiano nazionale di aver ricevuto la richiesta da parte del sito Phica di versare “mille euro al mese” per ottenere la rimozione di contenuti sensibili. Inoltre era già emerso che ad alcuni utenti del portale, in piedi da 20 anni e che contava circa 38.000 iscritti, era stato chiesto il versamento di un contributo per essere eliminati dagli iscritti. Episodi che potrebbero quindi spingere i magistrati a indagare anche su altre fattispecie di reato, oltre al revenge porn, la diffamazione aggravata, la violazione della privacy e la diffusione di immagini a contenuto sessuale. Sarebbe stato inoltre individuato una sorta di manuale per spiegare agli utenti come scattare di nascosto foto, piazzando microcamere nei camerini di negozi o in spogliatoi delle palestre. 

Intanto sulla homepage del sito l’admin ha pubblicato un lunghissimo post in cui respinge “ufficialmente” le accuse d’estorsione. Nel messaggio, corredato da una serie di screenshot, ricostruisce la vicenda iniziata a dicembre del 2023 quando un utente ha chiesto la rimozione di un messaggio di una persona iscritta a Onlyfans, in qualità di marito e agente. Dopo aver eliminato “sempre gratuitamente” una serie di contenuti, a dicembre, avrebbe consigliato un “servizio di ricerca proattiva”, per non “perdere tempo a cercare i link sulle varie piattaforme e segnalarle”. “Ovviamente questo è un servizio a pagamento” viene spiegato nel post utilizzando un paragone: “Se ordini una pizza e vai a prenderla di persona, non paghi alcun supplemento; la pizzeria però può proporti la consegna a domicilio con un costo aggiuntivo”.

Da lì partono le offerte economiche con “sconti” di 300 euro e ci si accorda per il pagamento con la prova della rimozione del 100% dei link esterni a piattaforme di streaming. Poi però tra i due sarebbe nata una “polemica” sul lavoro svolto più o meno bene e minacce di denunce. E dopo la pioggia di segnalazioni arrivate in poche ore per la class action lanciata dalla nota matrimonialista Annamaria Bernardini de Pace, ora sono intervenuti sulla vicenda gli avvocati dell’Unione nazionale Camere civili che parlano di una “rete sotterranea e ramificata di gruppi analoghi nei quali la violenza digitale si perpetua ogni giorno, alimentata dall’anonimato e dall’assenza di un’adeguata cultura del rispetto”. Per questo chiedono “alle istituzioni e alle piattaforme digitali un impegno concreto e immediato”. 

“Un cambio culturale, lo stesso necessario per prevenire i femminicidi, è indispensabile anche per contrastare quell’oggettificazione della donna diffusa su gruppi online e siti sessisti, alcuni recentemente chiusi dopo anni d’attività”. Così Gino Cecchettin, presidente della Fondazione intitolata a sua figlia Giulia, vittima di femminicidio, che aggiunge: “Fenomeni diversi, ma che hanno la stessa radice. È per questo che il cambiamento deve partire proprio dagli uomini, a cominciare dal linguaggio che può ferire, perché la violenza “non è solo quella fisica, è anche quella psicologica e quella verbale”.