Alla fine del 2021, si è a lungo considerato se chiudere la cattedra di Italianistica della Flinders University, a causa del basso numero di studenti.
La decisione fu congelata a causa della reazione della comunità italiana e delle istituzioni italiane e australiane, ed esattamente un anno fa, Stefano Bona, cominciava nel suo nuovo ruolo di docente unico di Italianistica.
Con il nuovo anno accademico ormai alle porte, è tempo di un primo bilancio e di qualche previsione per il 2023.
Ma andiamo per ordine, partendo dal 2022:
“È stato un anno molto intenso: nove corsi da coordinare e dieci da insegnare sono un bel carico. Per fortuna ho avuto il supporto di due bravissimi docenti a contratto, uno per semestre. Senza di loro sarebbe stata un’impresa impossibile. Ero già rodato sui corsi di lingua, mentre quelli di cultura hanno richiesto più attenzione” esordisce Stefano Bona.
“Comunque, ha funzionato tutto, e per questo devo ringraziare i responsabili del mio College che mi hanno lasciato lavorare con tranquillità, i colleghi di lingue che sono sempre stati di supporto, e la dott. Luciana d’Arcangeli, che era qui prima di me e ha lasciato a nostra disposizione le eccellenti risorse che aveva creato negli anni precedenti. Tutto questo ha certamente reso il lavoro molto più gestibile”.
Nonostante il numero di studenti non sia aumentato, Stefano Bona è comunque soddisfatto, come sottolinea:
“Ho avuto il piacere di insegnare a persone molto appassionate, con cui si è instaurato un bellissimo rapporto. E abbiamo ottenuto anche qualche importante soddisfazione: la celebrazione del cinquantesimo anniversario di Italianistica alla Flinders University, che non era stato possibile portare a compimento nel 2021 - l’anno del vero anniversario - e due studentesse arrivate al primo e terzo posto nel concorso nazionale 'Premio Italia' con due racconti molto originali”.
“Poi, molto importante, è arrivata la decisione di lasciarmi continuare ancora per un po’. L’obiettivo minimo era di arrivare alla fine del 2022 con tutti i corsi ancora in funzione. Ce l’abbiamo fatta e ora mi sono stati concessi altri due anni per risollevare le sorti della nostra lingua e cultura in questa università”, commenta orgoglioso.
Un’ottima notizia per l’intera comunità, che fa ben sperare per il futuro.
“Bisogna sempre essere ottimisti, anche se la situazione resta complicata. Il calo delle iscrizioni è ancora in corso ed è diventata una preoccupazione anche per tutte le altre lingue”.
La vera domanda è: perché continua a diminuire l’interesse per le lingue, in un mondo sempre più globale?
Stefano Bona ritiene che ci siano motivi sia interni sia esterni:
“Per esempio, l’assenza di una chiara politica linguistica in South Australia, la mancata percezione dell’utilità dello studio delle lingue, la mancanza di spazio per le lingue nei piani di studio, la quantità di studenti che lavorano a tempo pieno e di conseguenza hanno meno tempo per lo studio di materie aggiuntive, e il fatto che le lingue non sono necessarie per completare quasi nessun corso di laurea”.
“Parliamoci chiaro: studiare una lingua diversa dalla nostra lingua madre richiede uno sforzo mentale notevole, perché ci obbliga a imparare da capo a leggere, scrivere, ascoltare e parlare, ci forza a metterci in discussione e ad assumere una nuova identità.
Per non parlare della necessità d’imparare la grammatica. Tutto questo non fa che ingigantire il paradosso della società australiana: siamo orgogliosi del nostro multiculturalismo, ma di fatto perpetuiamo il monolinguismo anglofono”.
A dare prospettiva, l’ultimo censimento del 2021, che ci dice che in Australia si parlano più di quattrocento lingue. E si calcola che nel resto del mondo se ne parlino più di settemila.
“Pensare che l’inglese in quanto lingua globale ci consenta di arrivare ovunque e per questo non sia necessario apprendere altre lingue è un sintomo di supponenza culturale e pigrizia mentale” prosegue Bona.
“E la mescolanza di questi due fattori è pericolosa, perché sul lungo termine produce isolamento e razzismo, oltre a varie forme di risentimento da parte dei non anglofoni. Per contro, imparare altre lingue ci consente di creare una società più coesa e stabile, oltre a permetterci di rapportarci con il resto del mondo con un po’ più di umiltà. Insomma, parlare a un’altra persona nella sua lingua crea un rapporto totalmente diverso, più profondo, ed è un segno di grande rispetto. Oltre a essere un indubbio vantaggio nel mondo del lavoro”.
La situazione sembra complessa e allo stesso tempo sembra sempre più necessario un cambiamento:
“Ci vuole coraggio; il governo deve rendersi conto che imparare le lingue è un vantaggio per tutti e ha un valore intrinseco immenso. A livello di comunità, contribuisce a ridurre le tensioni sociali. E a livello internazionale, ci aiuta a restare cittadini del mondo. Gli studenti nelle scuole e nelle università dovrebbero essere incoraggiati a imparare almeno una lingua aborigena e una straniera”.
“C’è bisogno di più ore di lezione e c’è un bisogno enorme d’insegnanti. Nel resto del mondo è obbligatorio imparare due o più lingue anche in molti corsi di laurea universitari. Perché non lo possiamo fare anche qui?”, conclude.
Stefano Bona si appassiona all’argomento e prosegue:
“Per quanto riguarda l’italiano, partiamo da un fatto: l’Australia è il Paese con il maggior numero di studenti d’italiano fuori dall’Italia, ma c’è molta dispersione e pochi lo imparano veramente. Dobbiamo trovare il modo di creare più incentivi a impararlo, costruendo più ponti con la comunità per renderlo visibile, attraente, e anche utile”.
“Gli studenti hanno bisogno di metterlo in pratica quando escono dall’aula, per verificare in tempo reale che i loro sforzi non sono stati vani e trovare un incoraggiamento a perseverare nello studio”.
“Adelaide è una città fortunata da questo punto di vista: abbiamo radio italiane, un Italian Festival straordinario, un Consolato efficiente, un Com.It.Es attivissimo, oltre a tutti i club, le associazioni, la Dante Alighieri. Ecco, se tutta questa rete immensa riuscisse a convogliare le energie anche verso la promozione e la visibilità della nostra lingua con più convinzione, faremmo un passo avanti enorme”.
“Noi italiani siamo stati bravissimi a rendere la cucina e lo stile italiano dei punti di riferimento globali; possiamo benissimo inserire anche la nostra lingua nella lista degli status symbol. E ne avremmo tutte le ragioni: l’italiano è da tempo considerato una delle lingue più belle del mondo. Anzi, secondo uno studio, è addirittura la più sexy!”.
La lingua di Dante può offrire anche molti sbocchi professionali:
“Al momento c’è un bisogno disperato d’insegnanti d’italiano nelle scuole primarie e secondarie. Ci sono importanti necessità anche nel settore della salute e dell’assistenza agli anziani. Fra i miei studenti, i farmacisti hanno ottenuto un posto di lavoro proprio grazie alla loro conoscenza dell’italiano”.
“Ora che stiamo superando la crisi causata dal Covid, il turismo è in ripresa, sia dall’Australia verso l’Italia che viceversa, e anche in questo settore la conoscenza della lingua italiana è un indubbio vantaggio. Se poi le aziende italiane in Australia, e nello specifico, quelle qui ad Adelaide, avessero la possibilità di inserire la conoscenza della lingua fra i criteri desiderati di selezione del personale, otterremmo dei risultati straordinari”.
Infine, Bona lancia un appello:
“Se qualcuno fosse interessato a sostenere il futuro dell’italianistica finanziando borse di studio per esperienze full immersion o corsi di lingua e cultura italiana, troverebbe le porte spalancate”.