Siamo nel 2017. Alla Fisher Library della Università di Sydney, mentre si prepara un evento come tanti, una giovane bibliotecaria prende tra le mani un volume antico per completarne la catalogazione. È una copia del 1497 della Divina Commedia di Dante Alighieri, appartenuta a Pietro de’ Quarenghi, arrivata fino a noi in condizioni straordinariamente integre. Un gesto quasi automatico – girare il libro, controllarne il foglio di guardia finale – apre però una crepa nel tempo. Sul retro, tracciato in gesso rosso, affiora un disegno delicato e perturbante: una donna che regge un bambino. Poco sotto, una scritta in italiano: “Il giorno 17 settembre, Giorgione da Castelfranco, artista eccellentissimo, morì di peste a Venezia all’età di trentasei anni e riposa in pace”.

Da quel momento, il silenzio ovattato della biblioteca si trasforma nel punto di partenza di una storia che accende i riflettori internazionali su Sydney e rimescola le carte di uno dei capitoli più enigmatici della storia dell’arte. Il nome è quello di Giorgio Barbarelli da Castelfranco, detto Giorgione, pittore veneziano sfuggente, celebrato e insieme imprevedibile. Il disegno è davvero suo? Dante fu un riferimento diretto? Quelle righe fissano finalmente le date della sua vita? E come è possibile che un simile tesoro abbia attraversato secoli e continenti fino a finire sugli scaffali di un’università australiana?

A tenere insieme i fili di questo intrigo è Jaynie Anderson, professoressa emerita di Storia dell’arte all’Università di Melbourne, già presidente del Comitato internazionale per la Storia dell’Arte e tra le massime esperte mondiali del Rinascimento veneziano. Il suo nome è legato a ricerche decisive e a grandi mostre, come Bellini, Giorgione, Tiziano e il Rinascimento della pittura veneziana, curata tra Washington e Vienna. Ma il rapporto con Giorgione, racconta, nasce molto prima, quasi per destino.

Il primo incontro con l’Italia avviene a quindici anni, durante un viaggio in una piccola Fiat tra le meraviglie dello Stivale. Venezia è subito un colpo di fulmine. “Ho compiuto lì il mio quindicesimo compleanno. Me ne sono innamorata subito. Era una città diversa, affollata forse, ma ti dava l’illusione di poterti appartenere”. All’università sceglie Storia dell’arte e dedica proprio a Giorgione la sua tesi di laurea. “È un artista misterioso, affascinante. Sappiamo pochissimo di lui. Ma quando vedi per la prima volta le sue opere, capisci che sarà un legame duraturo”. Una relazione dalla quale, confessa, ha provato più volte a liberarsi, senza riuscirci. “C’è qualcosa di irrazionale: il colore, la bellezza, il senso di enigma”.

Quando dalla Università di Sydney la contattano per quel disegno inatteso, Anderson non ha dubbi, ancora prima di vedere il libro. “Mi scrisse Kim Wilson, una giovane bibliotecaria, dicendomi che forse c’era un’immagine attribuibile a Giorgione. L’ho sentito nello stomaco: doveva essere di nuovo lui”. Prudenza e intuito, però, devono andare di pari passo. Prima di esporsi, Anderson chiama l’Europa, forte dei suoi contatti con la National Gallery di Londra. Chiede un parere, quasi per non sembrare troppo audace. Intanto, da Londra arriva un’immagine a infrarossi del sottodisegno dell’Adorazione. Quando finalmente prende in mano l’incunabolo a Sydney, il confronto è rivelatore. Le corrispondenze sono troppo precise per essere casuali.

Il tratto, leggermente irregolare, l’integrità morbida delle forme appena sfalsata, soprattutto nel bambino, rimandano a una mano inconfondibile. Un sotto-disegno così aderente a un’opera nota è rarissimo. Eppure, mentre il disegno sembra offrirci un frammento intimo dell’artista, la sua biografia resta per lo più avvolta nella nebbia.

“Fino a oggi non conoscevamo date certe – spiega Anderson – sapevamo della sua morte nel 1510 solo grazie a una lettera: qualcuno voleva acquistare un suo lavoro e gli fu risposto che era già morto”.

L’iscrizione sulla Commedia contraddice quanto emerge dalle Vite di Vasari e offre una cronologia più puntuale, meno leggendaria.

Tutto questo confluisce nel volume Giorgione, Dante and the Sydney Incunable, curato da Anderson insieme a John Gagné. Il libro non si limita alla scoperta australiana: integra nuovi documenti emersi in Italia, come l’inventario dei beni di Giorgione dopo la morte, intrecciando ricerca archivistica e analisi scientifiche. Il risultato è un ritratto meno nebuloso – solo per certi versi –, più ancorato ai fatti, senza per questo intaccare il fascino dell’artista.

Resta da capire come quel libro abbia compiuto un viaggio tanto improbabile. Le ipotesi non mancano. Si trattava di un incunabolo relativamente ‘accessibile’: ne esistono oltre cento copie, una rarità per l’epoca. Un artista poteva permetterselo. E se qualcuno disegna su un libro, spesso è perché quel libro gli appartiene. La prima pagina mancante, strappata, è un dettaglio che ricorre anche in altre copie simili. Incrociando i dati del British Museum, emerge che potrebbe trattarsi di uno dei volumi venduti da Hodgson & Co. a Londra nel 1910. In seguito, il libro passa dalla Polyglot Library, piccola libreria londinese specializzata in testi italiani, fino ad arrivare a Sydney. Una data, quella del 1928, suggerisce l’ingresso nella biblioteca universitaria, in anni in cui si stava formando il Dipartimento di Italianistica e molti italiani o italofili donavano volumi preziosi. Figure come Fiaschi o la contessa Fee Hall compaiono sullo sfondo di questa migrazione misteriosa.

Il lavoro di Anderson si avvale anche del supporto della Biblioteca Vaticana. Il prefetto, monsignor Pasini, coordina confronti con altre copie, studi su filigrane e fluorescenze. Il verdetto è chiaro: il foglio con il disegno è originale, coevo al resto del volume. A Melbourne, al Synchrotron della Monash University, vengono analizzati gli inchiostri. Le sottolineature, le aggiunte, raccontano una vita del libro. Il volto della Madonna è appena accennato, privo di tratti ben definiti. “Forse per rispetto del divino”, azzarda Anderson. L’iscrizione, secondo lei, potrebbe derivare da un biglietto funebre, una memoria lasciata da chi conosceva Giorgione e ne ha voluto fissare il ricordo.

Una scoperta così non capita tutti i giorni. Non solo perché ridisegna un profilo sapientemente biografico, ma perché incrina certezze consolidate. Le date di nascita di artisti del calibro di Tiziano, del Bellini, di Carpaccio restano approssimative. Vasari si affidava a racconti orali, non a documenti. Qui, invece, tutto sembra incredibilmente concreto. E proprio per questo suscita resistenze. Salvatore Settis, amico di Anderson, avverte che ci vorrà del tempo perché il mondo accademico accolga pienamente questa nuova ricostruzione. C’è anche un pregiudizio più sottile: l’idea che l’Australia non “debba” scoprire nulla di decisivo sull’arte europea. Un’idea che questa storia smentisce, pagina dopo pagina.

Il percorso di ricerca certosino, e il libro che ne è scaturito, sono stati presentati anche lo scorso 2 dicembre, a Melbourne, al Co.As.It., in un evento promosso insieme ad ANZAMEMS e alla Società Dante Alighieri. Il volume è stato lanciato da Andrea Rizzi, Professore di Studi Italiani e da Christopher R. Marshall, professore associato di Storia dell’Arte, entrambi dell’Università di Melbourne. Un momento di confronto che ha ribadito quanto la collaborazione tra discipline e istituzioni sia oggi imprescindibile.

Alla fine, Anderson non parla di rivelazioni definitive, ma di un inizio. “Spero che il pubblico colga l’importanza del dialogo tra storia dell’arte e scienza della conservazione”. E risponde alla nostra ultima domanda con un’affermazione: “A volte, le intuizioni migliori nascono per caso, tra pagine ingiallite, quando qualcuno decide di girare un libro e guardare dove nessuno aveva pensato di guardare prima”.