A Marrickville, in una delle sale più amate dai musicisti indipendenti di Sydney, il palco di Lazy Bones Lounge ha accolto di recente una serata speciale: il ritorno dal vivo di Dion Palumbo con il suo progetto originale ‘Tales from the Big Smoke’.
Un concerto che non è stato solo musica, ma un atto di riconnessione, con il pubblico, con se stesso e con una storia che inizia molto lontano, dall’altra parte del mondo.
Dion porta nel sangue il viaggio di chi ha attraversato i mari per costruirsi una vita nuova: suo nonno, napoletano, emigrò in Australia dopo la Seconda guerra mondiale per lavorare sulle ferrovie.
Le sue radici italiane non sono un dettaglio, ma un elemento vivo nel modo in cui Dion vive e concepisce la musica: come un linguaggio che attraversa le generazioni, come una pratica che unisce le persone e che cura.
Dopo anni trascorsi a suonare, comporre e registrare, Dion ha deciso di ampliare il proprio orizzonte, diventando musicoterapeuta. “Ora sono un music therapist registrato – racconta –. Lavoro in strutture per anziani, scuole e presto anche in altri contesti. La musica è davvero magica: stimola la memoria, libera le emozioni”.
Il suo approccio integra psicoterapia e performance: “Anche dal vivo, se il pubblico è davvero connesso, si crea un’energia terapeutica. È un loop di ascolto e risposta”.
Il concerto di Marrickville ha riunito sul palco un ensemble internazionale: dal bassista messicano conosciuto durante il master, a una cantante incontrata anni prima a Londra, fino a una ex studentessa allieva di sua madre.
Una band eterogenea, affiatata, capace di rendere vivi i brani dell’album, un lavoro in cui Dion ha investito tanto, prodotto da un collaboratore di Brian Ferry e Prince.
“Non ho ancora raggiunto un successo commerciale enorme, ma ho creato qualcosa che fa stare bene le persone. E questo per me ha valore”.
“La musicoterapia – spiega Dion – è molto più che suonare uno strumento: è una pratica clinica che usa la musica per migliorare il benessere psicofisico delle persone, stimolare la memoria, facilitare la comunicazione e creare connessioni autentiche, anche laddove le parole non arrivano più”.
Questa pratica è ora al centro del suo quotidiano, soprattutto con anziani affetti da demenza: “Ogni lunedì lavoro in una struttura dove all’inizio tutti sono un po’ spenti. Dopo un’ora di strumenti, canto, armonica e movimento, i sorrisi tornano sui loro volti. È come una sessione di palestra per il cervello”.
“La musica – dice ancora – riattiva ricordi, emozioni, parole. E spesso emergono perle di saggezza da chi pensavi non potesse più comunicare”.
In futuro, vuole continuare a portare avanti entrambi i suoi mondi: un nuovo disco (More Tales from the Big Smoke) è già in lavorazione, con sonorità più rock, e nuovi concerti sono all’orizzonte.
Ma sempre con la stessa missione: “Creare una scena, far incontrare persone, costruire comunità attraverso la musica”.
Una missione che forse, in fondo, riprende quel gesto originario del nonno: costruire qualcosa che duri, che colleghi luoghi e persone.