ADELAIDE – Il podcast di Claudia Callisto, ben conosciuta all’interno della comunità italiana di Adelaide, dal titolo The Good Italian Girl and Friends, è stato di recente nominato per il Women in Podcasting Award, nella categoria “Storytelling”. 

Claudia è sempre molto attiva nel raccontare alla comunità, principalmente donne, le tante sfaccettature dell’essere cresciuta in una famiglia di italiani in Australia. Ispirata dalle spettatrici del suo ultimo spettacolo al Fringe, dove nel terzo sequel del suo spettacolo, The Good Italian Girl, ha esplorato il senso di solidarietà che normalmente si crea tra le ragazze di origine italiana cresciute in Australia, Claudia Callisto ha organizzato presso il Migration Museum un’esposizione sulle glory boxes, le doti che molte delle italo-australiane nate negli anni ’70 hanno ricevuto. 

Claudia Callisto, infatti, durante il suo spettacolo racconta proprio della tradizione della dote. Avvicinata a fine spettacolo da molte ascoltatrici che si erano riconosciute nella sua storia di figlia di emigranti, con il corredo che le ha accompagnate per tutta la loro vita da sposate, spesso in maniera ingombrante, Claudia e la sorella Laura hanno l’idea di organizzare un secondo momento di condivisione, concentrandosi sulla tradizione del corredo. Fanno delle ricerche, raccolgono tanto materiale e mettono in piedi un pomeriggio di ricordi, cultura e storia durante l’History Festival, appunto. 

Tanti gli oggetti in esposizione e una mini-conferenza a raccontare la storia di questa tradizione italiana, tanto radicata che, fino al 1975, la dote era sancita da una legge italiana risalente al 700 d.C., considerata parte integrante del contratto matrimoniale e la sua assenza poteva drasticamente ridurre le possibilità di sposarsi di una giovane donna. La dote completa minima comprendeva set completi di 12 pezzi, di ciascun articolo necessario per la creazione di una famiglia, compresa tutta la biancheria per la casa, gli articoli da cucina e da pranzo. In alcune famiglie erano inclusi anche tutta la biancheria da notte, la biancheria intima, i gioielli e gli abiti. Le famiglie più abbienti arrivavano a set da 18 o 24 pezzi, mentre le più povere si fermavano a sei, ma non meno. La maggior parte delle famiglie faceva grandi sacrifici per acquistare o realizzare gli oggetti necessari ad accumulare una dote adeguata alle proprie figlie – era in gioco l’onore della famiglia. I corredi potevano essere acquistati nei negozi più prestigiosi, o commissionati a sarte o conventi, anche se la maggior parte delle famiglie preparava la dote in famiglia, coinvolgendo madri e nonne principalmente, che si mettevano all’opera alla nascita di ogni bambina per insegnarle l’antica arte del ricamo e del merletto appena in grado di tenere ago e filo. 

In Abruzzo e in altre Regioni del Sud, la tradizione prevedeva che otto giorni prima del matrimonio, in casa dei genitori della sposa, si tenesse un’esposizione di tre giorni durante i quali i parenti di entrambe le famiglie erano invitati a visionare il corredo e i regali di nozze, compresi materassi, cuscini, coperte e biancheria personale, con la sposa che serviva un rinfresco agghindata con tutti i suoi gioielli, tradizionalmente del peso di un chilo. In passato, in Italia il trasferimento della dote nella casa dei futuri sposi avveniva pochi giorni prima del matrimonio. In alcune Regioni, per trasportare i pezzi più ingombranti, venivano utilizzati buoi adornati con nappe di lana rossa, fiori e campanelli e condotti dal padre o dal fratello della ragazza, mentre le donne della famiglia sfilavano ai lati con delle ceste in vimini sulla testa per mostrare i pezzi più belli, affinché tutti potessero ammirare la ricchezza e il prestigio della famiglia. Interessante notare che il contenuto della glory box restasse di proprietà della sposa in caso di vedovanza. 

Durante il pomeriggio al Migration Museum, al quale hanno partecipato un centinaio di persone, si è parlato anche dell’usanza, tutta italiana, ma altrettanto radicata ancora oggi nelle famiglie italo-australiane, delle bomboniere. Nell’antica Roma, frutta secca ricoperta di miele, semi aromatici e noci venivano regalati agli sposi come simboli di fertilità e felicità. Nel Medioevo, i documenti mostrano che venivano invece donati agli ospiti da ricchi aristocratici come parte di banchetti organizzati in occasioni speciali, come matrimoni e battesimi. Nel XII secolo, quando lo zucchero fu introdotto in Europa, le mandorle amare ricoperte di zucchero divennero la frutta secca preferita, a simboleggiare l’amarezza della vita addolcita dall’amore. Inizialmente venivano servite sui piatti durante il banchetto nuziale ma in occasione del sontuoso matrimonio di Caterina de’ Medici, erede della famosa famiglia di banchieri fiorentini dei Medici, con il figlio del re di Francia – siamo nel 1500 –, vennero offerte agli ospiti all’interno di piccole scatole gioiello. Nasce così la prima bomboniera. Nel corso del tempo, la tradizione del matrimonio italiano si è evoluta fino all’uso di cinque confetti bianchi, a rappresentare amore, salute, ricchezza, felicità e fertilità. Si è poi parlato di Sulmona, la capitale indiscussa dei migliori confetti, dove è visitabile il Museo dell’Arte e della Tecnologia del Confetto. 

Non poteva mancare un riferimento all’emigrazione e alla pratica del matrimonio per procura: tra il 1945 e il 1951, circa 35.000 italiani emigrarono in Australia e altri 340.000 prima del 1972. Si stima che circa l’80% di questi primi italiani fossero uomini celibi, che lavoravano duramente come operai. In questi anni, per via dell’emigrazione di massa, in molti paesi non c’erano più uomini in età da matrimonio. In Australia, d’altro canto, gli emigrati non erano ben visti; anzi, spesso venivano discriminati e mal considerati, a causa principalmente delle barriere sociali e linguistiche. Per questo, anche loro non avevano occasione di incontrare ragazze da sposare. L’unica possibilità era quella di convincere una ragazza italiana a raggiungerli. Ma come? Chi non aveva lasciato in Italia una fidanzata, da far venire in Australia, doveva affidarsi a parenti e amici in patria per trovare una sposa. Inizialmente, il governo australiano aveva proposto un programma di sponsorizzazione per le donne italiane nubili ma le autorità ecclesiastiche in Italia convinsero il Partito Cristiano Democratico al potere a respingere questo progetto, preoccupate per i “pericoli morali” a cui le donne potevano essere esposte, al di fuori del loro contesto familiare d’origine. 

Da qui la trovata del matrimonio per procura, voluto sia dal governo australiano sia da quello italiano: si stima, che siano state 12.000 le donne italiane che, tra il 1945 e il 1976, si sposarono per procura ed emigrarono in Australia. Il matrimonio per procura diventò, infatti, il mezzo per fornire una soluzione moralmente e culturalmente accettabile alla mancanza di uomini idonei in Italia e all’eccesso di scapoli in Australia. 

Insomma, un pomeriggio in cui si è parlato di storia e tradizioni, con Claudia Callisto che ancora una volta ha toccato i cuori delle tante figlie di emigrati italiani, come lei, ancora legati alle tradizioni dell’Italia, il Paese natale dei loro genitori e che sono riusciti a trasmettere ai loro figli i valori e le tradizioni della famiglia. Tradizioni e valori che Claudia Callisto racconta, con precisione, disincanto, ironia e molto affetto. 

Per questo, le sue iniziative e i suoi spettacoli riscuotono sempre così tanto successo e sono tanto attesi e richiesti dalle seconde generazioni di emigrati.