Nel 2020, oltre al centenario di Gianni Rodari, si ricordano anche i centocinquant’anni dalla nascita di Maria Montessori e i cento del pedagogista Loris Malaguzzi. Figure che hanno rivoluzionato la pratica educativa e il pensiero pedagogico, influenzando il mondo della scuola dell’infanzia (e non solo) e il modo di rivolgersi e di pensare ai bambini. Molte cose che oggi diamo per scontate sono frutto dell’osservazione e degli studi fatti da Montessori e Malaguzzi e vengono adottati in tutto il mondo. Vale quindi la pena scoprire (o riscoprire) le loro biografie e il loro pensiero, secondo Nicola S. Barbieri, professore di Storia della pedagogia dell’Università di Modena e Reggio Emilia.
Un primo aspetto significativo, ricorda Barbieri, è che sia Montessori che Malaguzzi hanno iniziato i loro percorsi occupandosi di bambini disabili adattando poi le loro sperimentazioni e applicandole a tutti i bambini. Diversi i contesti in cui hanno operato: la Roma a cavallo tra Ottocento e Novecento per la neuropsichiatra di Chiaravalle e la Reggio Emilia social-comunista degli anni Sessanta e Settanta per l’insegnante di Correggio.
Montessori si accorge che i bambini frenastenici con cui lavora all’inizio della sua carriera non sono stimolati. Applicando i metodi del medico francese Édouard Séguin, ottiene risultati sorprendenti che applica successivamente in una classe normale nella prima ‘Casa dei Bambini’, aperta nel 1907 in un quartiere popoloso di Roma dove i bambini passavano la maggior parte del loro tempo per strada. “Un lungimirante amministratore le chiede di fare qualcosa per loro. Da lì Montessori sviluppa l’idea di un bambino che deve crescere libero”, continua Barbieri. Libero di muoversi e di imparare in autonomia attraverso il gioco, di fiorire grazie a una serie di strumenti messi a disposizione dall’insegnante ma che il bambino stesso sceglie secondo il proprio interesse. Maria Montessori introduce materiali strutturati (per esempio giochi a incastro, lettere smerigliate) ed esperienze sensoriali che prima non esistevano: “Vennero introdotte in un tempo in cui ai bambini di 3 o 4 anni si propinavano solo materie intellettuali”. È sempre grazie alla scienziata che oggi diamo per scontati arredi e spazi a misura di bambino, sia a casa che nelle scuole materne. “Una volta non erano un’ovvietà”, ricorda Barbieri.
Quello di Montessori diventa un pensiero pedagogico organizzato con un vero e proprio manuale a cui si aggiungeranno altre pubblicazioni. Montessori stessa presenta corsi di formazione sul suo metodo, il primo già nel 1909, gettando le basi per la creazione in pochi anni di tantissime scuole (oggi se ne contano oltre 60mila).
Anche il Reggio Emilia Approach, ideato da Loris Malaguzzi ,“si è espanso a macchia d’olio”. “È un approccio che va di moda ed è stato copiato talvolta in modo disinvolto, soprattutto all’estero”, dice Barbieri. Diventa famoso grazie a un articolo apparso nel 1991 sulla rivista americana Newsweek che definisce quelli del capoluogo reggiano “gli asili più belli del mondo”, nati per volere della Giunta comunale tra gli anni ’60 e ’70. A Malaguzzi, allora direttore di un istituto provinciale per bambini disabili, viene chiesto di dirigerle.
Assieme al suo team, quasi tutto al femminile composto da pedagogiste, atelieriste (ovvero artiste) e insegnanti, Malaguzzi riempie di contenuti queste istituzioni che vengono visitate da trent’anni da educatori di tutto il mondo. “Hanno creato un sistema che resiste – spiega Barbieri –, anche se non facilmente esportabile come quello montessoriano”.
Il Reggio Approach è infatti una filosofia educativa che si basa sul contesto culturale e sociale, come spiega Barbieri: alcune iniziative realizzate a Reggio non sono replicabili altrove perché frutto delle idee e degli interessi di un gruppo specifico di bambini ed educatori in relazione all’ambiente in cui si trovano, nate, per esempio, dall’osservazione della gente al mercato, di luci e ombre da un proiettore, della pioggia. Gli educatori, attraverso domande e nuovi stimoli, lasciano che i bambini diventino costruttori della propria conoscenza.
Un concetto, questo, che sottolinea anche il poeta e giornalista Gianni Rodari nella sua Grammatica della Fantasia, un manuale con i suoi “ferri del mestiere” che condivide con genitori e insegnanti. Il libro nasce nel 1972 dopo una settimana di laboratori che Rodari tiene proprio a Reggio Emilia, invitato dal Comune su idea di Malaguzzi.
Attraverso una serie di esercizi e attività da lui “testati” con gli studenti, lo scrittore mostra come rinnovare generi letterari come le fiabe dando la possibilità ai bambini di non rimanere ascoltatori passivi ma di appropriarsene, scomponendole e riscrivendole, rendendole rilevanti per loro. Le attività di Rodari mirano ad allenare l’immaginazione, a esercitare, spesso inconsapevolmente creatività, logica, analisi, osservazione e comprensione del mondo, il tutto giocando e divertendosi. E si sa che per i bambini giocare è una cosa seria: non è mero intrattenimento ma è l’unico modo che conoscono di scoprire e appropriarsi di esperienze, emozioni, ruoli, oggetti e parole.
Per Rodari, gli insegnanti devono farsi “promotori di creatività”, mettendo al centro i bambini e lasciando loro lo spazio per diventare “creatori e produttori di valori e cultura”, non consumatori. Lo avevano confermato anche Montessori e Malaguzzi che, a dispetto delle differenze nelle loro teorie, avevano individuato la centralità del ruolo attivo del bambino nel proprio processo educativo e la necessità di coltivare il loro potenziale per creare un mondo migliore.
Per Rodari, si può partire dalle fiabe che “servono alla matematica come la matematica serve alle fiabe”. “Servono alla poesia, alla musica, all’utopia, all’impegno politico: insomma, all’uomo intero. Servono proprio perché, in apparenza, non servono a niente: come la poesia e la musica, come il teatro e lo sport”, scrive. “Se una società basata sul mito della produttività (e sulla realtà del profitto) ha bisogno di uomini a metà – fedeli esecutori, diligenti riproduttori, docili strumenti senza volontà – vuol dire che è fatta male e che bisogna cambiarla. Per cambiarla, occorrono uomini creativi, che sappiano usare l’immaginazione”, prosegue.
“Studiare Montessori, Malaguzzi o Rodari vuol dire presidiare contro un’idea di educazione povera, miope e tutto sommato biecamente funzionalista – conferma Barbieri –. Se posso usare una metafora del tiro a segno, tutti sanno che per colpire un oggetto molto lontano bisogna mirare più in alto dell’oggetto stesso. Quindi, nell’educazione, si deve mirare alto, ci sarà sempre tempo per gli approcci funzionalistici. Il momento del nido, della scuola dell’infanzia, della scuola primaria deve essere un momento ad ampio spettro, in cui si fanno tante cose di cui inizialmente non si sa bene se ci sarà una loro funzionalità”.