BUENOS AIRES - “Un grattacielo ha bisogno di un mito su cui erigersi”, affermava Virginia Bonicato, esperta dell’opera dell’architetto italiano Mario Palanti, durante la cerimonia in onore del centenario del Palazzo Barolo, due anni fa.  

Molti teorici dell’architettura hanno approfondito questa riflessione, come Rem Koolhaas, per il quale i grattacieli sono “macchine di ambizioni impossibili, tenute insieme dalla finzione”, e Thomas Leslie, che nel suo saggio Chicago Skyscrapers definisce questi edifici come “prodotti narrativi tanto quanto ingegneristici”. 

E proprio di narrazione e mito si è trattato nella serata organizzata in occasione dei 102 anni dall’inaugurazione del Barolo, uno degli edifici simbolo della capitale argentina e icona del legame culturale con l’Italia.  

L’edificio, ispirato secondo molte interpretazioni alla Divina Commedia e intriso di simbolismi massonici, è stato teatro di un evento che ha unito arte, partecipazione cittadina e riflessione architettonica. 

L’iniziativa è stata promossa dalla Fundación Palacio Barolo, impegnata nella conservazione e valorizzazione culturale del monumento, in collaborazione con la Facoltà di Architettura, Design e Urbanistica dell’Università di Buenos Aires (Fadu - Uba).  

La struttura dell’edificio ricorda la Divina Commedia.

Il progetto, guidato dalle docenti Moraima Enciso ed Evelyn Kopacs, ha coinvolto studenti delle cattedre Abate ed ex García Espín in un workshop intensivo di tre giorni, dove si è riflettuto sul passato, il presente e il futuro dell’edificio. 

“Abbiamo voluto pensare a come il Barolo dialoghi oggi con la città - spiega Enciso - e soprattutto alla sua relazione con l’asse istituzionale tra Avenida de Mayo e Plaza Congreso, dove si trova. Un tempo simbolo di potere e innovazione, oggi torna ad essere uno spazio condiviso”. 

Per l’occasione è stata realizzata un’installazione artistica immersiva in collaborazione con i collettivi Argot, Ensayos Urbanos e Fluxian. Protagonista visivo dell’intervento è stato un tubo gonfiabile rosso che attraversava la facciata e l’atrio dell’edificio — compreso il soffitto – culminando in una cupola centrale, una sorta di cuore pulsante al centro del piano terra.

“È una forma di occupazione poetica dello spazio – racconta Enciso – un percorso per abitare il luogo in modo diverso, coinvolgendo i cittadini”. 

L’installazione realizzata per l’evento.

Virginia Bonicato spiega che, nei suoi scritti, Palanti descriveva con orgoglio il Barolo come un “grattacielo”, un’impresa tecnica d’avanguardia per l’epoca, e che nelle sue lettere si vantava di aver eretto “moli” in Argentina e Uruguay. 

“Chi costruiva un edificio di 90 metri in pieno centro sapeva che stava costruendo qualcosa destinato a durare nei secoli – spiega Virginia –. Avevano coscienza del significato culturale e sociale di queste grandi opere”. 

All’ingresso del palazzo, i visitatori hanno potuto osservare i progetti degli studenti, che hanno immaginato i futuri possibili del Barolo attraverso tre prospettive: utopia, ucronia e distopia, in collaborazione con la materia “Fiction future” della facoltà. 

Alcuni progetti degli studenti. 

“Anche questa serata — osserva la docente — è una piccola utopia. Forse nessuno avrebbe immaginato, cento anni fa, che questo palazzo potesse essere abitato in questo modo, con installazioni artistiche, musica, danza e partecipazione collettiva”. 

A 102 anni dalla sua inaugurazione, il Palazzo Barolo non è solo un monumento del passato, ma un organismo vivo, che continua a generare significati, stimolare immaginazione e costruire comunità attorno a sé.