La vaccinazione rimane l’opportunità più efficace per prevenire il decorso grave dell’infezione da Sars-CoV-2. Ma con la circolazione pressoché assoluta di Omicron e delle sue subvarianti, la capacità di prevenire i contagi e le reinfezioni si è ridotta. Da qui la necessità di individuare altre soluzioni, per evitare che il numero dei casi rimanga costante o torni a crescere. Oltre a lavorare sulla possibilità di sviluppare un vaccino universale, la comunità scientifica è al lavoro per individuare una soluzione che possa essere disponibile in breve tempo. Tra queste, c’è la vaccinazione attraverso uno spray nasale. Non una semplice modalità di somministrazione differente. Ma la “chiave” per attivare una diversa risposta immunitaria, che parta dalla mucosa nasale: la prima via d’accesso del virus nel nostro organismo.
La necessità di stimolare la risposta anticorpale a partire dalle mucose è un tema emerso da tempo all’interno della comunità scientifica. La ragione è la seguente. I vaccini a mRna somministrati per via intramuscolare stimolano i linfociti B a produrre una specifica classe di anticorpi: le IgG, in grado di diffondersi attraverso i fluidi corporei in tutto l’organismo e di aggredire la proteina Spike sintetizzata a partire dall’mRna. Questa risposta sistemica è la più frequente, ma può risultare tardiva nei confronti di un’infezione respiratoria come quella provocata da Sars-CoV-2.
In questi casi, una prima “barriera” è rappresentata dall’immunità mucosale. Nei rivestimenti delle cavità nasali, così come delle altre vie aree, oltre che dell’intestino, ci sono cellule del sistema immunitario in grado di produrre una diversa classe di anticorpi. Sono le IgA, responsabili dell’immunità a livello delle mucose: oltre che nei neonati. La loro produzione non è stimolata dalla vaccinazione intramuscolare, mentre potrebbe esserlo attraverso un vaccino spray inoculato direttamente nelle narici. Che, al tempo stesso, renderebbe i soggetti contagiati estremamente poco infettivi.
Un’ipotesi a cui stanno lavorando diversi gruppi di ricerca nel mondo. In questo momento della pandemia si ha a che fare con una minaccia diversa da quella che del 2020. Se si vuole contenere la diffusione del virus, l’unico modo per farlo è attraverso l’immunità mucosale. In questo modo è come se si mettesse un guardiano davanti alla porta d’ingresso, piuttosto che agire quando il virus è già dentro di noi.
Sono otto, nello specifico, gli studi già approdati alla fase 3, che prevede il coinvolgimento di migliaia di pazienti per valutare l’efficacia, una volta accertata la sicurezza, della risposta immunitaria. Diversi i meccanismi d’azione dei vaccini in fase sperimentale. Alcuni incapsulano la proteina Spike, con cui il coronavirus si fa largo all’interno delle cellule. Altri si basano sui vettori virali, per far entrare nell’organismo alcuni geni di Sars-CoV-2. Infine c’è anche chi sta testando un vaccino vivo attenuato, inoculando il coronavirus indebolito attraverso tecniche di ingegneria genetica.
Ma realizzarli non è semplice. Al di là della modalità di somministrazione, più comoda e che permetterebbe di raggiungere in poco tempo un maggior numero di persone, le maggiori difficoltà risiedono nello sviluppo di un vaccino nasale. Più complicato, perché la stimolazione della risposta a livello della mucosa è particolarmente complicato.
Le difese presenti nelle mucose rappresentano una sorta di mistero all’interno della scatola nera del sistema immunitario. Mai come in questo caso, inoltre, occorre cautela. A causa della vicinanza del naso al cervello, le sostanze inoculate nelle narici potrebbero arrivare all’organo chiave del sistema nervoso centrale: con eventuali conseguenze neurologiche tutte da accertare. Ancora vivo è il ricordo del flop di un vaccino antinfluenzale simile, all’inizio del secolo. Collegato all’insorgenza di alcuni casi di paralisi di Bell, legata a una disfunzione del settimo nervo cranico, finì per essere snobbato dalla società. A ciò occorre aggiungere che, per quanto sia semplice somministrare questo vaccino, altrettanto facilmente il farmaco potrebbe essere espulso con uno starnuto. Ancor prima, magari, di aver determinato una risposta efficace.
Infine, un ulteriore aspetto da chiarire riguarda l’eventuale “combinazione” con i vaccini tradizionali. La produzione di IgA basterebbe all’organismo per rispondere eventualmente all’infezione o sarebbe comunque necessario continuare a vaccinarsi con i farmaci a mRna? Una domanda ancora senza risposta. Ma fondamentale per decidere come eventualmente aggiornare la campagna di profilassI.