TEL AVIV - Israele reagisce duramente alle critiche dell’Unione Europea, che sta per avviare una revisione del suo accordo di associazione con Israele a causa della situazione a Gaza.

“Respingiamo categoricamente la direzione” dell’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, Kaja Kallas, “che riflette una totale incomprensione della complessa realtà che Israele sta affrontando” e “incoraggia Hamas a restare fedele alle sue posizioni”, ha affermato il portavoce del Ministero degli Affari Esteri, Oren Marmorstein in una dichiarazione pubblicata su X.  

Londra apre il fronte, Bruxelles alza la voce, Washington mostra segni di “frustrazione”. L’Occidente stringe la morsa diplomatica intorno al governo di Benyamin Netanyahu con un’escalation che scuote gli equilibri. 

Nel cuore di Westminster, il premier Keir Starmer ha certificato lo strappo: prima rilanciando la condanna firmata con Francia e Canada contro la guerra a Gaza, bollata come “del tutto sproporzionata”, poi congelando i negoziati per un accordo di libero scambio post-Brexit con Israele e annunciando sanzioni mirate alle frange più radicali dei coloni in Cisgiordania, accusati di violenze sistematiche contro i palestinesi. 

Il tutto mentre oltremanica, a Bruxelles, cresce la pressione per un cambio di rotta nelle relazioni con lo Stato ebraico: una “forte maggioranza” di Paesi Ue si è detta a favore, nelle parole dell’Alta rappresentante Kaja Kallas, a rimettere mano al trattato siglato con Israele venticinque anni fa. Non senza malumori, con Roma e Berlino che si sono smarcate.  

“Non possiamo permettere che la popolazione di Gaza muoia di fame”, ha scandito Starmer alla Camera dei Comuni, definendo “assolutamente inadeguato” l’annuncio israeliano sull’apertura limitata dei corridoi umanitari. Poi lo stop all’intesa commerciale e, accanto, le sanzioni rivolte - tra gli altri - a Zohar Sabah, Harel David Libi e Daniella Weiss, leader di spicco del movimento dei coloni e al centro del recente documentario “Settlers” di Louis Theroux.  

Ma la risposta del governo israeliano è stata immediata: Londra è mossa da “un’ossessione antisraeliana” e da “calcoli politici interni”. Mentre il ministero degli Affari Esteri ha aggiunto che “se il governo britannico è disposto a danneggiare la propria economia, è una sua decisione”, ricordando inoltre che “il mandato britannico” sul protettorato d’Israele “è terminato esattamente 77 anni fa” e “le pressioni esterne non devieranno” lo Stato ebraico “dalla sua strada”. 

A Londra, il ministero degli Esteri David Lammy non ha comunque fatto retromarcia. E, prima di convocare l’ambasciatrice israeliana Tzipi Hotovely, ha lanciato un messaggio diretto a Netanyahu, definendo senza mezzi termini “abominevole” la situazione a Gaza e puntando il dito contro il blocco degli aiuti in corso da undici settimane.

Proseguendo su questa linea, ha avvertito il responsabile del Foreign Office, Israele rischia “un crescente isolamento da parte dei suoi alleati”. Seguito da un doro monito finale: “Il mondo sta osservando” e “la storia giudicherà”. 

Una “linea invalicabile”, quella sul rispetto dei diritti umani, tracciata anche dall’Europa continentale. I Paesi Bassi, storico partner di Israele, hanno chiamato a raccolta gli altri governi e l’esecutivo Ue per valutare l’attivazione dell’articolo 2 dell’accordo di associazione - che vincola i rapporti bilaterali al rispetto dei diritti umani e dei principi democratici - in reazione al blocco degli aiuti a Gaza. Una proposta sposata nel complesso da 17 Paesi, guidati - oltre che dall’Olanda - da Spagna, Francia, Irlanda e Slovenia. 

Un’operazione delicata - un “esercizio”, nella definizione di Kallas - che non punta a sospendere il trattato siglato nel 2000 ma propone di congelarne il piano d’azione, bloccando di fatto l’avanzamento della cooperazione. Un segnale forte anche sul piano economico: l’accordo è alla base di una relazione commerciale da oltre 46 miliardi di euro. A schierarsi contro sono però stati altri dieci Paesi, tra cui l’Italia e la Germania e le tradizionalmente contrarie Austria, Ungheria e Repubblica ceca. 

“La situazione è catastrofica”, è stato il monito di Kallas, che già nelle prime ore della giornata aveva definito gli “aiuti autorizzati finora da Israele” come “una goccia nell’oceano”. Una denuncia accompagnata dalla decisione - annunciata dalla commissaria Ue per il Mediterraneo, Dubravka Suica - di accelerare con l’allocazione dei fondi previsti nel pacchetto Ue da 1,6 miliardi di euro per sostenere l’Autorità nazionale palestinese fino al 2027, destinando da subito 82 milioni all’Unrwa per sostenere “istruzione e sanità” nella Striscia e in Cisgiordania.  

La parola finale sulla revisione del trattato spetta comunque alla Commissione europea di Ursula von der Leyen, che finora ha mantenuto una linea prudente su Israele.