BRUXELLES - La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ottenuta l’approvazione dei due vicepresidenti esecutivi, Raffaele Fitto e Teresa Ribera, casus belli di uno scontro politico ben più ampio e articolato, dopo un tortuoso iter di audizioni, tornerà di nuovo al banco di prova del Parlamento europeo.
Questa volta per il voto finale sulla Commissione, per entrare in carica l’1 dicembre, mercoledì, nella plenaria a Strasburgo con il voto a maggioranza semplice, a scrutinio palese. Non ci saranno franchi tiratori quindi, ma eurodeputati che si assumeranno la responsabilità di dire “questa volta no”.
E, date le premesse, non saranno pochi. Già nei giorni scorsi, con il fragile patto europeista che ha blindato Fitto e Ribera, nei corridoi del Parlamento a Bruxelles il confronto era tutto sui numeri. Tra chi è dentro e chi si sfila da un’alleanza che sembra tutt’altro che solida, a legislatura ancora ai blocchi di partenza. Nel voto per la sua approvazione a luglio (scrutinio segreto e requisito della maggioranza assoluta, quindi almeno 361 sì) von der Leyen ha ottenuto 401 voti.
La somma della maggioranza che l’ha pubblicamente sostenuta: Popolari (Ppe, 188); Socialisti (S&d, 136); Liberali (Renew, 77); Verdi (53). Il totale farebbe 454. I franchi tiratori sono stati una cinquantina (va scontato qualche voto favorevole tra le fila dell’Ecr). Di norma, i presidenti designati per la guida della Commissione europea guadagnano preferenze tra la prima e la seconda votazione.
Nel 2019, sempre von der Leyen ottenne 381 voti per la sua nomina (allora i componenti dell’Eurocamera erano 747, la Brexit non si era ancora compiuta e la maggioranza assoluta era di 374) e il via libera alla Commissione arrivò con 461 voti favorevoli, 157 contrari, 89 astensioni. I voti guadagnati furono un’ottantina. Jean-Claude Juncker, nell’ormai lontano 2014, tra le due votazioni ebbe solo un voto in più: dai 422 voti della fiducia ai 423 voti favorevoli (209 contrari e 67 astenuti) per il Collegio.
L’aumento di consenso tra le due fasi ha sostanzialmente due motivazioni: ogni governo indica un proprio commissario e quindi, tendenzialmente, tutti i partiti al governo nei 27 votano a favore in sostegno del proprio commissario (quello che accadrà con Fratelli d’Italia e che accadde nel 2019 con il Pis polacco). L’altra motivazione, meno nobile, forse, è che il voto è palese e quindi gli eurodeputati sono chiamati a rendere conto delle eventuali defezioni. Conti alla mano, è già difficile per la leader tedesca confermare i 401 voti ottenuti a luglio.
I Verdi (53), decisivi a luglio, hanno minacciato di ritirarsi, non è detto che lo facciano tutti, ma sicuramente lo faranno in tanti. Decideranno oggi, lunedì, dopo una riunione di gruppo. All’interno dei socialisti ci sono diversi scontenti. Tra chi non vuole turarsi il naso per senso di responsabilità verso le sorti del Continente vi è al momento la delegazione socialista francese (13 eurodeputati).
Ma non saranno gli unici: è facile prevedere tra i banchi di S&d una defezione di almeno una ventina di deputati (tra gli italiani già Marco Tarquinio ha annunciato che il suo sarà un no). Così come tra le fila dei liberali mancherà all’appello qualcuno, per le stesse ragioni dei socialisti. I popolari spagnoli (22) fino all’altro giorno minacciavano che non avrebbero votato a favore di una squadra di cui facesse parte la socialista spagnola Ribera.
E così il sostegno a von der Leyen scenderebbe intorno a quota 350. Tuttavia vengono certamente recuperati i voti della corposa delegazione di Fratelli d’Italia (24), in particolare dopo la nomina di Fitto, “una vittoria di tutti gli italiani, non del governo o di una forza politica”, come ha affermato Giorgia Meloni, rivendicando “la centralità del Paese” ottenuta con la vicepresidenza.
Parole a cui ha fatto eco il vicepremier Antonio Tajani, che ha subito rivolto i suoi auguri di buon lavoro al collega di governo, nella convinzione che “saprà valorizzare al meglio il contributo dell’Italia nella governance europea”.
Gli altri conservatori (ungheresi, belgi, scandinavi e baltici) è probabile che siano stati tra i 401 di luglio. Von der Leyen a luglio è stata molto orgogliosa dei 401 voti ottenuti. L’obiettivo dovrebbe essere mantenere quelli. Se non ce la dovesse fare sarebbe un cattivo segnale. Se non dovesse superare la soglia della maggioranza assoluta (361) sarebbe un grido d’allarme.