MONTEVIDEO - Tra storia, passione e grandi campioni, il calcio è stato celebrato come ponte culturale tra Uruguay e Italia all’Expo Prado.

L’evento, organizzato dall’Istituto Italiano di Cultura di Montevideo nell’ambito della Giornata dello sport italiano nel mondo, ha proposto una conferenza che ha avuto come protagonista il giornalista e scrittore italiano Luca Caioli, affiancato da Sebastián Giovanelli e Magdalena Martínez Vial, per raccontare storie e protagonisti che hanno segnato la presenza del calcio charrúa in Italia. 

A inizio conferenza, i presenti hanno assistito a un video messaggio curato dall’Ambasciata d’Italia a Montevideo, in cui diversi calciatori uruguaiani – vecchie glorie e talenti più attuali – hanno inviato un saluto speciale. Un gesto che ha sottolineato il forte legame tra i due Paesi, commentato anche dai campioni charrúas approdati nel Bel Paese, che hanno ricordato con nostalgia e affetto il loro passaggio in Italia. 

Nel corso del video, Caioli ha anticipato il tema dell’evento raccontando la storia di Julio Bavastro e di suo fratello Iberto Egidio, all’origine di una lunga tradizione di legami sportivi tra Uruguay e Italia. Nati a Paysandú da una famiglia di origini italiane, i due partirono giovanissimi per l’Italia: Julio, appena sedicenne, approdò al Milan come attaccante e venne naturalizzato italiano. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, entrambi furono arruolati nell’esercito italiano e morirono combattendo al fronte. 

Questo, infatti, è solo un frammento di storia che, come ha sottolineato Caioli, mostra come il calcio abbia spesso intrecciato destini sportivi e vicende umane, ben oltre i confini del campo di gioco. “La loro eredità è rimasta – dice –. I Bavastro hanno aperto la strada a molti calciatori”, che negli anni a seguire e fino ai giorni nostri hanno trovato in Italia la loro casa e il loro successo. 

“Esiste un doppio legame tra Italia e Uruguay in materia di calcio, perché gli immigranti italiani hanno aiutato a convertire il calcio in uno sport popolare, in una passione nazionale, ma dall’altra parte i figli o nipoti degli immigranti sono tornati in Italia e hanno fatto dell’Italia un paese diverso calcisticamente parlando”, ha ricordato Caioli, sottolineando il ruolo degli italiani che si sono trasferiti in queste terre. 

“L’Uruguay ha una storia (calcistica) diversa da quella del Brasile dove, per un certo periodo di tempo, il calcio è stato molto elitista e non venivano accettati giocatori di origini semplici. Qui no, ci sono storie molto diverse”, continua Caioli ricordando quella di Giovanni Battista Crosa, un immigrato nato a Pinerolo, in Piemonte, e trasferitosi in Uruguay, dove ha fondato una piccola attività “il cui nome si è ispanizzato in Peñarol. Quella zona, all’arrivo degli inglesi con la ferrovia, voleva essere ribattezzata in New Manchester. Non c’è stato verso. È ancora oggi un quartiere di Montevideo ed è il nome di una squadra”. 

Alla domanda sul perché i calciatori uruguayani siano così richiesti in Italia, il giornalista ha risposto: “Io credo che la cosa che più colpisce del giocatore uruguayano, (...) è che ‘sudano la maglietta’, è la loro garra (la tenacia, grinta, combattività e determinazione), il loro carattere, e una componente molto importante è che si adattano rapidamente al calcio italiano, a differenza di altri paesi dove l’adattamento è più difficile”. 

L’incontro all’Expo Prado ha mostrato come il calcio non sia solo sport, ma anche memoria condivisa e identità culturale. Tra aneddoti, storie di sacrificio e campioni che hanno segnato generazioni, Luca Caioli ha ricordato che ogni giocatore uruguayano che gioca (o ha giocato) in Italia rappresenta una storia molto più profonda, fatta di viaggi, radici comuni e una passione che continua a unire due Paesi lontani solo sulla carta geografica.