Immunizzazione. Una cavalcata lunga oltre due secoli, che parte dallo sviluppo del vaccino contro il vaiolo. L’aumento del numero dei vaccini disponibili e la loro efficacia hanno però progressivamente fatto dimenticare l’impatto che prima, e ancora oggi, in molti Paesi avevano le malattie infettive. Riscoprire la storia che ha portato a eradicare questa malattia è dunque importante per tenere vivo il ricordo e desta l’attenzione. 

Alla (ri)scoperta del vaiolo

Il vaiolo è una malattia contagiosa di origine virale, che nel 30% dei casi risulta fatale. Ne esistono due forme cliniche. La più comune è quella causata dal virus Variola major e si manifesta con febbri elevate e con la comparsa di pustole ulceranti su tutto il corpo. Una condizione che ha sempre generato terrore tra le popolazioni: per l’elevata mortalità, ma pure perché i sopravvissuti rimanevano sfigurati a vita, ricoperti di cicatrici. Esistono quattro tipi di vaiolo di questo genere: quello ordinario (più del 90% dei casi), una forma lieve che a volte si sviluppa su persone preventivamente vaccinate, quello piatto (detto anche maligno) e quello emorragico (raro, ma molto grave). Meno pericolosa (con una mortalità sotto l’1%) è la forma di vaiolo causata dal virus Variola minor. Il contagio avviene sempre per contatto diretto tra le persone, tramite i liquidi infetti o gli oggetti personali contaminati (abiti o lenzuola). Un comune veicolo di contagio sono la saliva e il muco delle persone malate.

La scoperta del primo vaccino

La vaiolizzazione, conosciuta in Oriente già da secoli, venne scoperta attraverso i viaggi dell’aristocrazia europea e quindi importata nel Vecchio Continente agli inizi del diciottesimo secolo. Si trattava di una procedura con cui i medici inoculavano polveri essiccate di sostanze prelevate da malati in forma lieve. Una tecnica efficace, sì. Ma anche pericolosa, visto il numero di casi in cui sono state indotte infezioni anche letali. Da qui la necessità di studiare soluzioni alternative. Fu il medico inglese Edward Jenner, oggi considerato il padre della vaccinologia, il primo a notare che le persone a stretto contatto con mucche e cavalli colpiti dalle forme di vaiolo animale sviluppavano forme più lievi di vaiolo umano o non lo sviluppavano per niente. Lo scienziato, nel 1796, decise così di inoculare del materiale estratto dalla pustola di una mucca colpita da vaiolo animale in un bambino che non si ammalò. Nacque così la prima vaccinazione, chiamata in questo modo proprio perché prendeva origine da materiale biologico derivato da una vacca. 

Grazie al vaccino malattia eradicata nel 1979

Jenner sosteneva anche che l’effetto protettivo garantito da questa procedura sarebbe rimasto per tutta la vita. Considerazione errata, visto che la copertura si è poi visto durare dai tre ai cinque anni. Ma che non ha mai sminuito il valore della sua scoperta. Dopo diversi tentativi, intorno al 1940 si è arrivati a sviluppare un vaccino stabile ed efficace contro il vaiolo: tuttora composto da un virus simile a quello del vaiolo, di origine bovina. È stato questo il primo passo verso l’eradicazione della malattia, completata nel 1979 a seguito di una vasta campagna di vaccinazione di massa. Da qui la scelta di interrompere la profilassi, che in Italia era stata la prima a essere avviata (1888) ed è stata sospesa ormai più di quarant’anni fa (1981). Tutti coloro che sono nati prima di quell’anno portano sul braccio il segno di questa vaccinazione. Una sorta di «bollo», determinato dal seccarsi di una piccola vescica che si formava sempre nel punto di inoculazione. Il segno di un successo scientifico planetario, che deve far riflettere sulle possibilità di prevenzione di massa garantite dai vaccini. L’Italia possiede cinque milioni di dosi di vaccino che, in caso di necessità, possono essere diluite con la possibilità di vaccinare 25 milioni di persone. Gli ultimi due casi di vaiolo al mondo si sono verificati a Birmingham, nel Regno Unito, nel 1978, quando due dipendenti della Facoltà di Medicina della locale università contrassero il virus e uno dei due morì, l’11 settembre 1978. Dopo questo fatto Henry Bedson, responsabile scientifico dell’ateneo per la ricerca contro il vaiolo, si suicidò. Alla luce di questo incidente, tutte le riserve conosciute di vaiolo furono distrutte o trasferite in uno dei due laboratori di riferimento dell’OMS dotati di un livello di sicurezza adeguato: il CDC di Atlanta e il Centro nazionale di ricerca in virologia e biotecnologie VEKTOR di Kol’covo, in Russia. 

Arma biologica

Gli inglesi considerarono di utilizzare il vaiolo come arma biologica nell’assedio di Fort Pill durante la guerra franco-indiana (1754-1763) contro i francesi e i loro alleati nativi americani, mentre è stato ipotizzato che lo stesso agente patogeno sia stato utilizzato come arma durante la guerra d’indipendenza americana (1775-1783).Durante la seconda guerra mondiale gli scienziati del Regno Unito, degli Stati Uniti e del Giappone sono stati coinvolti nella ricerca per produrre un’arma biologica dal vaiolo. Tuttavia non furono mai attuati piani per una produzione in larga scala, poiché si ritenne che, in presenza di un vaccino efficace, l’arma non avrebbe avuto l’efficacia sperata. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica e la disoccupazione di molti degli scienziati responsabili del programma bellico, i funzionari del governo degli Stati Uniti hanno espresso la preoccupazione di come il vaiolo e la competenza per ottenerne un’arma possa permettere ad altri governi o a gruppi terroristici di utilizzare il virus come mezzo di guerra biologica.