La concertazione messa in campo da Draghi spacca il mondo del lavoro tra tutelati e sacrificabili.
ROMA - Ci vorrà un po’ per capire l’entità dell’impatto dello sblocco dei licenziamenti, arrivato infine giovedì nel Dl Lavoro, dopo l’accordo tra governo, sindacati confederali (Cgil, Cisl e Uil) e associazioni delle imprese. Un accordo che si è tradotto sotto forma di un gentlemen’s agreement, con cui gli imprenditori si sono impegnati a usare tutti gli ammortizzatori sociali messi a disposizione delle aziende, prima di procedere ai licenziamenti collettivi. Non vincolante, per le industrie l’intesa è oltremodo vantaggiosa, perché permette di continuare a tagliare il costo del lavoro, che sarebbe pagato dai soldi pubblici e non gli impedisce, una volta esauriti questi fondi, di licenziare comunque.
Eppure a usare toni entusiasti sull’accordo trovato a Palazzo Chigi sono soprattutto i sindacati. “Un messaggio importante al Paese”, lo ha definito infatti il leader della Cgil Maurizio Landini e “un segnale politico fondamentale”, secondo Pierpaolo Bombardieri della Uil. In pratica si tratta però solo di una dilazione nei tempi dei licenziamenti, affidata oltretutto al buon cuore delle imprese. Per Cgil, Cisl e Uil tuttavia il risultato importante è soprattutto quello di essere riusciti ancora una volta a presentarsi come unici interlocutori del premier Draghi, con il quale il rapporto è ottimo sin dall’intesa sulla Pubblica amministrazione di qualche mese fa. Una nuova concertazione che mette sempre più al riparo tutti i lavoratori rappresentati dai maggiori sindacati, sacrificando però tutti gli altri, come i sindacati di base, che a Palazzo Chigi non sono stati nemmeno convocati e che rappresentano sempre di più i settori più problematici e più vulnerabili, come quello della logistica.
Settori a forte presenza di manodopera straniera, sempre in bilico tra legalità e illegalità e nella stragrande maggioranza delle situazioni, totalmente precarizzati. Ma anche settori dove ormai i sindacati di base, con la loro politica di lotta molto più aggressiva dei sindacati tradizionali, hanno conquistato una grande fetta di lavoratori, sottraendoli a Cgil, Cisl e Uil.
E su questa crescente debolezza dei sindacati tradizionali fa esattamente perno la strategia del governo Draghi, che con il decreto di mercoledì ha centrato l’obiettivo di dividere il mondo del lavoro, sperando di raffreddare così anche un clima che il prossimo autunno, con una crisi sociale molto forte alle porte, si prospetta incandescente. Non a caso, tra i più contenti c’è anche il Pd di Enrico Letta, che auspica una riedizione del “grande patto per il lavoro” come quello del governo Ciampi nel ’93. La concertazione, appunto, che ispira Draghi e che aprì la stagione della moderazione salariale in Italia.
I sindacati di base però promettono che non staranno a guardare e avvertondo del crescente pericolo di uno guerra tra etnie, oltre che tra lavoratori, denunciano le sigle confederali di essere complici di un sistema che danneggia i più deboli.
Qualche giorno fa, a Prato, centro di un’altro settore incandescente, quello del tessile, una protesta di lavoratori pachistani contro lo sfruttamento nelle fabbriche gestite da cinesi è finita a sassate. Mentre la scorsa settimana un altro sindacalista di origine egiziana è stato investito durante un picchetto davanti a un centro logistico in Piemonte, dove protestava contro stipendi da mille euro al mese per 10 ore al giorno di lavoro. Per fortuna stavolta il sindacalista non è deceduto, come accaduto invece il 18 giugno a Novara ad Adil Belakhdin.
Nel tentativo di fermare questa escalation pericolosa, il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, ha convocato un tavolo con i sindacati di base della logistica il prossimo 7 luglio.