Vasco sindaco! Vasco sindaco!”. Poche decine di fan, niente in confronto all’oceano di mani a cui è abituato, ma le voci devote hanno trasformato la sala Buzzati del Corriere della Sera in un piccolo stadio.Intanto, è arrivato il sindaco, quello vero, Beppe Sala, che ha consegnato a Vasco Rossi la pergamena della città in segno di riconoscenza per i record musicali ed emotivi infranti in questi decenni. “Siamo di fronte a uno dei personaggi più importanti della storia di Milano - ha detto Sala - anche più dei sindaci che ci sono stati”. Non è solo esercizio di umiltà, il primo cittadino ha riconosciuto di essere di fronte a un “supervissuto”, come bene celebra la serie televisiva dedicata al rocker di Zocca. 

Ma la serie a cui Vasco tiene di più è la sequenza di concerti allo stadio San Siro, sette live che portano a 36 gli show totali nel tempio musicale milanese. Mai nessuno come lui. Alla Pergamena di Milano, si è aggiunto un riconoscimento da parte della Regione Lombardia, consegnato dal presidente Attilio Fontana. 

“Io sono partito frainteso. Per capire le mie canzoni bisogna chiederei ai miei fan. Loro non hanno mai frainteso neanche una parola”, altra ola dei presenti. Ma ha ragione Vasco, la critica lo ha analizzato mentre il pubblico lo ha “semplicemente” ascoltato. “Ho sempre fatto la cronaca dei miei pensieri, dei miei problemi - e ha fatto impressione immaginare un Vasco cronista nella sala dedicata al supercronista Buzzati -. Il mio popolo trova nelle mie canzoni consolazione e conforto. Mi dicono: ‘Come hai fatto a leggermi?’, ma in realtà io leggo me stesso. Il punto è che siamo umani, abbiamo gli stessi problemi”. “Vado al massimo”?. Un altro Vasco, un altro tempo, un altro mondo. “Non dimenticatevi che vengo dagli anni ‘70, che non era proprio un bel periodo, non c’erano più concerti per il terrorismo. Se in quegli anni mi avessero detto che saremmo arrivati a questo punto, con un rischio nucleare e l’intelligenza artificiale utilizzata per fabbricare fake news, non ci avrei creduto. La guerra dovrebbe diventare un tabù”.

Lo ha detto, lo ha ripetuto, l’uomo che per anni ha affrontato i tabù degli italiani usando la sua faccia come tiro a segno. “Le sostanze le ho usate per fare di più. Per restare sveglio e finire le canzoni. Ho usato le sostanze, non mi sono mai fatto usare. Ma non si può dire che la droga è tutta uguale; metterle tutte nello stesso calderone è da criminali. Non ho mai usato l’eroina e quando amici ci sono finiti dentro l’ho considerato un tradimento perché li avevo avvertiti dei rischi. Eppure in quei tempi le madri mi davano la colpa della tossicodipendenza dei figli, la gente mi sputava quando mi incontrava per strada, è stato un periodaccio. Ma più stavo male e più mi sfogavo scrivendo canzoni”.

Ha criticato il populismo e l’abuso di social, il pericolo delle menzogne attraverso il deep fake e la diffusa tendenza autoritaria. Le sue cartucce restano la parola, il palco continua a essere il cannone per colpire lontano. Lo fa e lo farà anche a San Siro, a suo modo, annunciando che inserirà il nome “Giorgia” della presidente Meloni, nel testo di “Asilo Republic” dopo la frase “più di prima ci sarà ordine e disciplina”. “Sono concetti particolarmente attuali adesso che c’è questa direzione verso un certo tipo di autoritarismo e le libertà vengono derise. Il problema è questa derisione continua” che è simile “a quella che c’era negli anni ‘20, io vedo delle somiglianze notevoli”.

Vasco mise piede per la prima volta nel capoluogo regionale lombardo nel 1975, per acquistare un trasmettitore (da Radio Milano International), per la radio che aveva fondato a Zocca, la mitica Punto Radio. Poi per la sua prima casa discografica nazionale, la Saar, che aveva sede in zona San Vittore. In seguito, frequentò la Kono Music di Enrico Rovelli, quello che, dopo il clamoroso successo del tour “Liberi liberi”, lo tentò con la proposta di fare un concerto a San Siro. Una scommessa calcolata e vinta: “Fronte del Palco”, il 10 luglio 1990, fu la consacrazione, con un Meazza pieno all’inverosimile. Via via negli anni le date a San Siro sono aumentate, da due nel ‘95, a tre nel 2003, poi quattro 2011 e 2014, fino a sei volte nel 2019. 

Oggi, la nuova sfida, con sette date. Palco largo 86 metri, profondo 25, alto 28, maestoso e dominato da cinque giganteschi schermi con tecnologia multiscreen, due laterali curvi per dare la visuale a tutto lo stadio, alla carica dei 600.000 di cui circa 400.000 solo a Milano. Nessuno come lui, dunque: nessuno ha mai fatto sette volte San Siro, nessuno quattro il San Nicola di Bari.